VIOLENZA NELLE CARCERI ITALIANE
Anche se la guerra in Ucraina catalizza tutta la nostra attenzione, anche per i riflessi che essa sta provocando in tutto il continente, non bisogna dimenticare i problemi con cui dobbiamo fare i conti in Italia. Era l’ 8 Marzo 2020 quando, a seguito della protesta scoppiata nel carcere di Modena, si scoprì che essa era stata repressa con metodi molto simili a quelli usati nel Cile di Pinochet o in quella di San Paolo del Brasile. Sistemi identici a quelli utilizzati dalla polizia a Genova nel corso del G7. Nelle testimonianze raccolte all’epoca dalla Procura, si accertò che i detenuti erano stati ammassati, ammanettati, presi a manganellate e alcuni denudati. Trasferiti nel carcere di Ascoli Piceno, le violenze degli agenti nei confronti dei detenuti sarebbero proseguite. Il mattino seguente una squadra di agenti entrò nelle celle per continuare a manganellare. E le violenze proseguirono anche nei giorni successivi. Il fascicolo penale sulle violenze al carcere di Modena è ancora aperto. Grazie al riconoscimento effettuato dai detenuti, nove sono le morti accertate, si trattava di detenuti stranieri. Su questi fatti – a distanza di due anni circa – ancora si attende l’esito delle indagini e su queste violenze grazie all’opposizione della associazione Antigone, si occuperà presto anche la Corte EDU. Nel frattempo, nulla è cambiato da allora, a riprova del fatto che non si tratta di episodi isolati o frutto di una situazione particolarmente critica come quella della pandemia ma di una deficienza sistematica. Recentemente la ministra della Giustizia si è recata a visitare la sezione del carcere a Torino dove vengono trattenuti gli spacciatori che hanno ingoiato la droga. Marta Cartabia ha descritto la sezione al piano Terra del padiglione in cui vengono detenuti i presunti “ovulatori” come “un reparto inguardabile per la disumanità, tanto per le condizioni in cui deve operare la polizia penitenziaria, quanto per quelle in cui si trovano i detenuti”. “Non ci sono docce e i servizi igienici ma tutti i detenuti – a volte anche 14 – scrive La Repubblica del 13.3. u.s. – utilizzano solo un “wc nautico” in cui si raccolgono gli involucri da sottoporre al narcotest”. “Ancora – denunzia il giornale – si tratta di un’operazione che dovrebbe fare un sanitario ma è diventata prassi che sia la polizia penitenziaria a farlo”. Era il 2017 che la garante dei detenuti di Torino aveva lanciato questi fatti richiedendo provvedimenti urgenti. Ma fino ad ora è cambiato ben poco per cui ha richiesto la chiusura del reparto “un carcere nuovo è un carcere più sicuro”. “Andare a vedere, come esortava Piero Calamandrei, è il presupposto per testimoniare la disumanità delle carceri italiane” ma poi bisogna agire perché un sistema carcerario che rispetti la persona umana, non rappresenta solo un obbligo della Carta Costituzionale ma un investimento sulla comunità. Sarà questo governo arlecchino capace di far fronte ad una esigenza primaria come quella della sicurezza nelle carceri e del rispetto dei diritti fondamentali del cittadino? Ci crediamo poco: sembra che il carcere italiano costituisca solo una misura di isolamento dei cittadini detenuti rispetto a quelli liberi negando loro qualsiasi possibilità di uscire dalla spirale della violenza illegale ma anche di quella legale.