“UNGHERIA E SERBIA NON SONO DEMOCRAZIE”
Così titola un articolo comparso su “La Repubblica” dell’8 Maggio, riprendendo un rapporto del centro studi americano Freedom House che, a proposito del concetto di “democrazia illiberale”, riferendosi all’Ungheria non fa sconti sull’attuale situazione politica interna scrivendo che “l’Ungheria di Orbán è qualcosa di diverso da una democrazia, un’entità “ibrida” che si pone in una “zona grigia” fra le autocrazie compiute e i paesi democratici”. Aggiungendo che, “se un governo spazza via il dissenso, cancella la libertà di stampa, manipola gli equilibri elettorali, lo Stato è ben lontano dall’essere democratico”. Certo, sempre con riferimento all’Ungheria, effettivamente il giudizio sull’assenza di autentiche forme democratiche è calzante, confermato dalla politica liberticida che negli ultimi dieci anni ha perseguito il premier Orbán. Senza dimenticare che l’Ungheria è stata denunziata dalla Commissione Europea innanzi la Corte di Giustizia per violazione dei principi fondamentali posti a base dell’UE. Recentemente, è stato messo in soffitta in Ungheria anche il Parlamento dal quale il premier ha ricevuto pieni poteri per affrontare la pandemia che ha colpito anche il Centro-Europa. Questo significa che non c’è più alcun controllo sulla politica del governo che, comunque, negli ultimi anni aveva messo sotto controllo la libertà di insegnamento nelle università e limitata la libertà di stampa. Non dimentichiamo che, però, il Centro Studi americano Freedom House non è un centro di informazione indipendente perché riceve finanziamenti dal governo USA, come scrive La Repubblica, ricordando che questa stessa associazione in passato “ha giudicato severamente Martin Luther King per le frequentazioni pacifiste considerate antiamericane”. Uno strumento dunque utilizzato dal governo USA per condizionare l’opinione pubblica mondiale e i paesi suoi alleati in Europa. Anche se, nel caso dell’Ungheria il giudizio ci trova d’accordo, non si può accettare che “lo stesso succede alla Serbia e al Montenegro dove la crisi della democrazia è evidente soprattutto, nell’Europa centrale e nei Balcani dove la fine della guerra fredda aveva portato una ventata di libertà”. Giudizio che non sentiamo di condividere perché si tratta di una vera e propria falsificazione storica a tutto vantaggio di una pretesa patente democratica degli USA in quanto, molto tempo prima della fine della guerra fredda, quella che allora era ancora la Federazione jugoslava aveva allentato il legame con Mosca, militando per molti anni tra “i paesi non allineati”. Posizione questa che aveva favorito un avvicinamento soprattutto con i paesi frontalieri come l’Italia e l’Austria e successivamente con la CEE, attuale UE, con una crescita dei rapporti commerciali che erano serviti anche ad allentare il controllo della stampa e dell’opposizione all’interno della Federazione. La vera crisi si è determinata solo quando gli USA, alla caduta del muro di Berlino, intervenivano insieme ad altri paesi membri, fra i quali purtroppo anche l’Italia, nei conflitti interni scoppiati tra i paesi della ex Jugoslavia, aggredendo e bombardando la Serbia e facendo crescere le ostilità e i nazionalismi all’interno dei Balcani, rendendo difficile la marcia di avvicinamento di questi paesi verso l’UE di cui ancora oggi i restanti paesi della ex-Jugoslavia aspirano a diventare membri, anzi, negli anni più recenti si è avuto grazie ad un’iniziativa della Cancelliera Merkel, la creazione di un organismo che sta lavorando per aiutare questi paesi a raggiungere un quoziente democratico necessario per aderire all’UE. Sono in corso trattative che dovrebbero portare presto all’adesione della Macedonia del Nord e dell’Albania mentre resta sospeso l’ingresso della Serbia per l’opposizione di qualche paese membro dell’UE, come la Francia, che in una delle ultime riunioni del Consiglio Europeo aveva chiesto di rallentare questo processo, benché – a detta di molti osservatori – l’ingresso di questo paese nell’UE potrebbe sul piano della sicurezza portare ad un più efficace controllo dei flussi dell’immigrazione proveniente dalla Turchia e mettere in soffitta ogni velleità nazionalista. Tra essi vi è certamente la Serbia che non può essere accusata di essere una “democrazia illiberale” alla pari con l’Ungheria di Orbán. Per quanto riguarda il Kossovo, la Serbia è pronta ad aprire una trattativa per risolvere infine il conflitto non ancora sopito. Inoltre, il governo sta lavorando insieme all’UE per sviluppare la democrazia nel paese a tutti i livelli per cui ci sembra che il giudizio espresso dal Centro Studi sia del tutto ingiustificato e neppure ben documentato. Tanto più che ormai le nuove generazioni guardano all’Europa con grande interesse. Visitando questo paese, parlando con la gente comune, come con membri della comunità culturale, si ha la netta situazione che la Serbia si voglia liberare di tutti gli stereotipi del passato e comunque allontanarsi dal nazionalismo slavo che non trova più seguaci. A tal proposito, la sentenza di condanna emessa dalla Corte Internazionale dell’Aia contro Varadic non ha sollevato certo alcun clamore in Serbia per cui sarebbe un errore politico non aprire le porte a questi paesi che fanno parte della nostra cultura e della nostra storia, nel bene e nel male.