TRATTAMENTI INUMANI NELLE CARCERI ITALIANE
Come scrive Marina Castellaneta sul suo blog “www.marinacastellaneta.it”, la CEDU ha ricevuto un nuovo ricorso contro l’Italia. “A presentarlo è stata la sorella di un detenuto che si era ucciso in carcere senza che- ad avviso della ricorrente – le autorità italiane avessero adottato misure per proteggere la vita del fratello perché, prima del suicidio, non gli erano stati forniti trattamenti medici tempestivi ed adeguati”. “Per la ricorrente sarebbe stato violato l’art. 3 della Convenzione che vieta trattamenti inumani e degradanti e l’art. 2 sul diritto alla vita, anche a causa dell’assenza di indagini adeguate sulla morte del detenuto”. La Corte ha comunicato il caso all’Italia chiedendo chiarimenti sulla eventuale conoscenza dell’esistenza di un rischio reale e immediato per la vita del detenuto, tanto più che, malgrado fosse stato sottoposto al regime di sorveglianza rafforzata, nessun agente lo aveva controllato per circa due ore. Per quanto riguarda l’assenza di indagini adeguate, la Corte vuole chiarimenti sui motivi per i quali il fascicolo è stato aperto contro ignoti e non nei confronti del personale penitenziario sanitario incaricato della sorveglianza del detenuto, nonché sui motivi che hanno portato a ben tre richieste di archiviazione da parte del Pubblico Ministero, tutte respinte dal Giudice per le indagini preliminari. Non si tratta in effetti di un episodio isolato in quanto le carceri italiane sono un vero e proprio colabrodo in cui la violenza è pane quotidiano senza che lo Stato intervenga a porre fine a questa che rappresenta la normalità che si registra ogni giorno. In un’intervista concessa al quotidiano La Repubblica del 2 gennaio u.s. dal direttore delle carceri italiane Bernardo Petralia, fino al maggio 2000 magistrato antimafia, così dichiara: “La libertà è preziosa, in nessun istituto si vive tranquilli. Non dimentichiamo mai che sono luoghi di prigionia. E uso apposta questo antico termine che fa comprendere come lì si venga tristemente privati del bene prezioso della libertà. Quando vinsi il concorso in Magistratura, mio suocero, penalista, mi disse che per ogni toga sarebbe utile vivere per qualche settimana la vita del carcere. Adesso capisco fino in fondo quelle parole”. Una proposta questa che certamente farebbe comprendere a chi giudica di pensarci bene prima di condannare l’imputato ad una pena detentiva che lede il più importante diritto del cittadino, quello della libertà cui non possiamo aggiungere altra afflizione determinata dalle condizioni spesso indecenti del carcere che non serve certo a rieducare il recluso, ma ad accentuare al contrario il suo isolamento dalla società libera.
Febbraio 2022
TRATTAMENTI INUMANI NELLE CARCERI ITALIANE