RISCHIO DI CRISI ALIMENTARE
A far le spese di questa guerra non è solo il settore industriale ma anche il settore alimentare. Lancia l’allarme la FAO che registra il più alto aumento dei prezzi negli ultimi trent’anni. “Il problema si pone soprattutto per i paesi più poveri: gli aumenti registrati in questi giorni rischiano di lasciare senza cibo 13 milioni di persone” scrive La Repubblica del 9 aprile scorso. I cereali sono quelli tra i più colpiti dall’aumento dei prezzi: Russia e Ucraina si trovano infatti al vertice dei paesi produttori a livello mondiale. Senza il loro apporto il prezzo del grano è aumentato del 19,7 % ed il mais del 19,1 %. A far salire i prezzi contribuiscono anche i pesanti rincari dei costi di produzione favoriti dai prezzi dell’energia. Per i paesi più poveri c’è il rischio di fame e carestie. Intervenuto a Firenze all’inaugurazione dell’anno accademico dei gergofili, il vicedirettore della FAO Maurizio Martina, ha dichiarato che “50 paesi in via di sviluppo dipendono da Russia e Ucraina per più del 50% del loro Import di grano per cui si può innescare un effetto a catena pericoloso”. Ad aggravare la situazione alimentare a livello mondiale è anche la trasformazione di vasti territori che ha ridotto notevolmente le risorse alimentari locali costringendo paesi una volta autonomi sotto il profilo alimentare a dipendere dalle importazioni dall’estero. L’aumento dei prezzi denuncia ancora Martina è anche la speculazione in quanto “già prima dei conflitti in Ucraina col Covid e la crisi energetica abbiamo avuto un aumento costante dei prezzi dei beni agricoli”. “A parte l’aumento dei prezzi c’è il rischio –secondo la Fao – della fame per 800 milioni di persone, tra i quali 151 milioni di bambini sotto i 5 anni”. Questi rischi non vanno sottovalutati e occorre innescare una prospettiva che da una parte riduca i consumi dei paesi più sviluppati e dall’altra intervenga a bloccare l’abbandono delle coltivazioni di grano e frumento non solo nei paesi oggi dipendenti dagli aiuti internazionali ma anche nei paesi più ricchi, come l’Italia dove la produzione granaria si è sempre più affievolita per colpa della concorrenza internazionale. Solo se riusciremo a governare questa situazione si potrà anche controllare i flussi migratori verso l’Europa.