QUALE FUTURO PER LA DEMOCRAZIA?
Quanto è accaduto a Washington mercoledì 6 gennaio ha sollevato più di una preoccupazione nel mondo politico sulle sorti della democrazia sotto attacco dei populisti di cui certamente Trump può ritenersi il rappresentante più autorevole. Ma Trump ha governato per 4 anni con pugno di ferro che, anche se non incontrava sempre neppure il consenso dei paesi alleati, non gli ha impedito di fare il bello e il cattivo tempo sulla scena della politica mondiale, imponendo agli avversari politici, ma anche ai paesi alleati, il punto di vista dell’amministrazione USA, a riprova del ruolo che questo grande paese “democratico” intendeva giocare sullo scacchiere mondiale. Da una parte ha stracciato gli accordi che “democraticamente” erano stati sottoscritti dai suoi predecessori come il Trattato di Parigi sui cambiamenti climatici o quello sul nucleare sottoscritto dal presidente uscente Obama con l’Iran. Neppure ha esitato ad entrare nella polveriera medio-orientale, alleandosi con il regime di Erdogan contro il regime siriano appoggiato da Putin. Insomma, in questi quattro anni, non c’è stato momento in cui non abbia messo in fibrillazione le Cancellerie europee e minacciato la sempre più possente economia cinese. Ultimo suo capolavoro è stato il Trattato di pace che ha fatto firmare ai paesi arabi con Israele, producendo nuove lacerazioni all’interno del mondo arabo e resi ancora più difficili i rapporti tra Israele e il governo palestinese. Senza però dimenticare che dietro di lui c’erano milioni di americani che l’avevano votato e che si sono sempre dichiarati a favore della sua politica ambiziosa sintetizzata nel motto “America First”. Oggi che assistiamo alla caduta del suo impero e alla sconfitta della sua dinastia familiare, i difensori della democrazia prendono le distanze da quello che può definirsi un politico rottamato. C’è da chiedersi a questo punto se siamo difronte ad una crisi della democrazia o difronte ad un fenomeno da baraccone, certo, che può anche andare alla malora, lasciando che la “democrazia” continui a fare il suo corso senza avere più tra i piedi un avventuriero che stava mettendo sempre più in crisi la dottrina “democratica”. Insomma, per ridare forza alla democrazia bisognava liberare di questo impiastro con ogni mezzo possibile – a partire da quello elettorale -. Più chiaramente, il fenomeno Trump non si può liquidare come un fenomeno estraneo al nostro sistema democratico che però da anni si sta trasformando in un regime che è stato definito di “democrazia illiberale”. Ne sanno qualcosa il populista Orban in Ungheria o il movimento leghista in Italia. Per addormentare le coscienze, si continua a far riferimento in astratto ai principi della democrazia ma introducendo sempre più massicciamente all’interno dei sistemi democratici elementi di sovranismo. Se oggi in Italia stiamo assistendo ad un’ennesima crisi governativa, in un periodo così difficile come quello attuale, essa è frutto di una battaglia combattuta da chi ieri nel governo aveva fatto scarso uso delle tutele della democrazia parlamentare e che oggi imputa al capo di questo governo di aver accentrato nella sua persona una serie di poteri che non poteva assumere se non mettendo in discussione i principi di questo nostro sistema democratico. Eppure il Presidente del Consiglio, come ha sostenuto uno dei protagonisti della nostra storia recente, gode della più ampia popolarità presso gli italiani, che gli riconoscono un ruolo determinante nelle vicende politiche di questo ultimi biennio malgrado continui ad esercitare un potere sovrano che mal si acconcia con la struttura istituzionale del paese. Non è certo il primo caso di questa involuzione democratica che sta assumendo sempre più i connotati di una “democrazia populista”, senza più suscitare scandali ed è per questo che Trump non può rappresentare un incidente storico ma rappresenta l’altra faccia della democrazia pronta a deviare verso soluzioni autoritarie, dietro lo schermo di un populismo di maniera. Essere populisti non è un’offesa ma quando il potere, sotto le vesti del richiamo formale ai diritti democratici, serve solo per limitare ogni dialettica democratica, lasciando al Parlamento il ruolo di approvare le scelte dell’esecutivo, ebbene sarebbe ora di preoccuparsi un po’ meno di Trump e un po’ più di mettere steccati per evitare pericolose derive autoritarie che non solo hanno trionfato nel passato in modo drammatico ma che possono senz’altro ripetersi anche in futuro. Di fatto Trump come Conte o come Orban sono frutto di una crisi sociale che si è aggravata con questa pandemia che ha accelerato questa trasformazione del tessuto democratico. Sia nell’esame della vicenda Usa come della crisi del governo italiano, non si può prescindere da questa mutazione della democrazia che può mettere in discussione definitivamente quei valori che sono alla base della nostra società, e questo costituisce un arretramento sostanziale che può mettere in discussione tutte le riforme che sono state attuate nella seconda metà del secolo scorso.
11.1.2021