La minaccia nucleare
Nel febbraio di quest’anno Putin, in risposta alle sanzioni prese dai paesi occidentali nei confronti della Federazione Russa, in un’intervista dichiarava di ricorrere anche alle armi atomiche, nel caso di attacco da parte dei paesi occidentali o dei paesi della Nato. Bisogna esaminare fino a che punto si tratta di una minaccia o di una prospettiva reale. A tal proposito bisogna ricordare che nel 1968, in piena Guerra fredda, sotto la pressione dell’opinione pubblica, USA, Gran Bretagna e Unione Sovietica sottoscrivevano un trattato di non proliferazione nucleare (TNP) e successivamente, per arginare la proliferazione nucleare sottoscrivendo un successivo Trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari. Successivamente nel 2021 è entrato in vigore un trattato – TPNV – che prevedeva la prima riunione degli Stati membri entro un anno dalla sua entrata in vigore ma, a causa della pandemia, si è svolto solo quest’anno dal 21 al 23 giugno a Vienna. Molti i temi affrontati anche se il suo impatto sul disarmo rimane per ora estremamente limitato. L’obiettivo di questo trattato impegna i sui Stati membri a non sviluppare, testare, acquisire, possedere, stoccare, minacciare di usare armi nucleari o fornire assistenza a qualsiasi altro Stato impegnato in tale attività. Tuttavia non sorprende che sole 65 Stati membri hanno sottoscritto il trattato e tra di essi non ci sono gli Stati che posseggono armi atomiche come gli Stati Uniti, la Russia, il Regno Unito, la Francia e la Cina. Uno dei problemi sul tappeto è la mancanza di un meccanismo di controllo non previsto dal trattato ma nel corso della prima riunione non è stata designata nessuna autorità e anche se gli Stati hanno deciso di proseguire la discussione e posticipare la decisione a data di definirsi. Un trattato dunque orfano di tanti figli, lasciando che siano i singoli Stati a fornire i dati sul numero delle testate nucleari possedute o cedute a paesi terzi. Va aggiunto, grazie al progresso tecnico, che gli scienziati, nel caso di terremoti, sono in grado di distinguere se si tratta di eventi naturali o causati da esplosioni di ordigni nucleari. Nell’ambito europeo paesi come la Germania, il Belgio, i Paesi Bassi e l’Italia, sono considerati paesi a maggior rischio, in caso di una guerra nucleari in Europa, perché consentono lo stazionamento di armi nucleari USA sul proprio territorio. Motivi in più per puntare ad un disarmo universale e prima ancora di liberarsi di questi terribili strumenti di distruzione di massa. Ma, a tener conto degli ultimi sviluppi della politica italiana, sembra che il governo, dimissionario da qualche giorno, non solo non intenda prendere le distanze dalle posizioni belliciste di USA e Nato, ma addirittura sta incrementando le forniture di armi all’Ucraina. Quanto elevato sia il rischio del conflitto nucleare è da valutare seriamente anche dopo la decisione annunciato da Putin di mettere in stato di allerta la “forza di deterrenza” della Russia. Questa minaccia comunque suona come un avvertimento ai paesi Nato di rimanere fuori della guerra in Ucraina ma non c’è dubbio che vuole essere anche una forma di intimidazione nei confronti degli ucraini. Di qui la scelta occidentale di evitare azioni che Putin possa usare come pretesto per allargare il conflitto ad altre aree, pur continuando a fornire armi sempre più sofisticate all’Ucraina contribuendo a finanziare la guerra che potrebbe durare ancora anni o mesi. Ma sussiste oggettivamente il rischio dell’allargamento conflitto sia ad altri paesi europei ed in particolare quelli che fanno parte della Nato. Un eventuale all’allargamento dell’area di scontro potrebbe portare la Russia ad utilizzare missili tattici dotati di testate nucleari che provocherebbe una risposta adeguata dell’Alleanza Atlantica con gravissime conseguenze che ne deriverebbero sia per gli esseri umani che per l’ambiente naturale. A dipingere lo scenario catastrofico che ne deriverebbe dall’utilizzo di atomiche sono gli studiosi del programma Science and Global Security (SGS) dell’Università di Princeton degli Stati Uniti che ha elaborato una simulazione di un’eventuale guerra nucleare. Secondo questa simulazione si stima che solo nelle prime ore di conflitto ci sarebbero più di 90 milioni di persone morte e ferite. Il rischio di una guerra nucleare non è affatto da sottovalutare in quanto gli Stati Uniti recentemente sotto la presidenza Trump non hanno rinnovato il trattato sul controllo delle armi nucleari e hanno iniziato a sviluppare nuovi tipi di armi nucleari anche ampliando le circostanze in cui potrebbero utilizzare armi nucleari. Nella seconda fase delle simulazioni fornita dai professori dell’Università Princeton gran parte delle forze militari europee sarebbero distrutte mentre gli Stati Uniti potrebbero liberare seicento missili contro la Russia, causando 3,4 milioni di morti appena in 45 minuti. Nell’ultima fase ben trenta città e centri economici potrebbero essere colpiti da 5 a 10 testate ciascuna, portando il numero delle vittime alla cifra terrificante di 85,3 milioni. In realtà in questa simulazione i danni maggiori toccherebbero soprattutto l’Europa con inimmaginabili conseguenze. Se la Russia è responsabile di questa prospettiva, non lo sono da meno gli Stati Uniti e la Nato ed i loro alleati europei. In un recente incontro che si è tenuto qualche giorno fa tra i leader di Russia, Iran e Turchia la portavoce del Ministero degli esteri russo ha accusato gli USA e gli alleati (cfr. La Repubblica del 13 u.s.) “di spingere verso un conflitto armato tra potenze mondiali” come aveva già denunziato il presidente bielorusso che avvicinerebbe il mondo intero all’abisso di una grande guerra che non può avere né vincitore né vinti. Quello che ci preoccupa non è tanto il tono minaccioso delle due dichiarazioni ma il silenzio sia degli USA che dell’UE che sembrano voler dare una lezione a Putin dimenticando che tutto ciò non giustifica il sacrificio di milioni di vite umane e soprattutto il rischio di cancellare ogni segno di vita su questo pianeta.
Luglio 2022