LA LUNGA MARCIA DELLA EMANCIPAZIONE FEMMINILE
Nel secolo scorso, dopo aver sopportato il peso di due guerre mondiali, la popolazione femminile del nostro continente iniziò una battaglia rivendicando gli stessi diritti riconosciuti ai cittadini di sesso maschile. Purtroppo non si può dire ancora oggi che sia stata riconosciuta la piena parità dei diritti. La strada sarà ancora lunga: nel corso della rivoluzione russa fu chiaro che la battaglia non poteva essere vinta se non con il contributo di tutta la collettività, gli uomini in prima linea.
Né ci si poteva illudere che fosse bastata una legge per abolire la prima e più grave forma di discriminazione, quella sessuale. In pace, e in guerra, alle donne va riconosciuto il merito di essersi caricate non solo dell’educazione della prole ma anche di far marciare la macchina industriale accettando anche un trattamento economico inferiore rispetto a quello riservato agli uomini; sempre più spesso si è ricorso al lavoro femminile peggio pagato.
Neanche le battaglie sostenute dalle associazioni femministe sono riuscite ad eliminare una serie di discriminazioni ben radicate nel corpo di una società divisa in classi all’interno della quale la donna conserva un ruolo subalterno, assai diffuso nelle classi meno abbienti. Le cronache non ci risparmiano le immagini di donne stuprate, violentate spesso dai loro compagni, in nome di un principio che risale apparentemente ad epoche lontane ma ben presente nella memoria dell’uomo se il fenomeno si ripete per dieci, cento, mille volte all’anno.
Se nella moderna società capitalista la donna è la parte più debole di una società dai forti connotati maschilisti, ancora più dura è la condizione della donna nei paesi dove c’è ancora il peso di una religione che impone alla donna determinati comportamenti che sembrano appartenere ad una cultura pre-capitalista. Sono anni ormai che le donne, questa volta anche con i loro compagni di sesso maschile, chiedono al governo di abbandonare questi costumi ancestrali rendendo le donne padrone della loro vita.
E questo significa anche dare alle donne modo di emanciparsi dal loro ruolo domestico e frequentare le scuole di ogni ordine e grado con libero accesso anche all’università. Adesso è la volta dell’Afghanistan, uno dei paesi più poveri di questo mondo, dove i talebani hanno ripreso il potere dopo il ritiro delle truppe di occupazione che per venti anni hanno illuso di poter cambiare il volto della società afghana. E’ passato poco più di un anno da quando i talebani hanno ripreso il controllo del paese, perseguendo la loro politica oscurantista soprattutto nei confronti delle donne imponendo loro il velo integrale.
Qualche giorno fa l’ex governatore e capo militare che guida l’Università da ottobre, ha deciso che l’istruzione femminile è contraria ai valori dell’Islam chiudendo le porte dell’università alle donne. La notizia non è un fulmine a ciel sereno “i talebani hanno paura del progresso delle donne”, ha dichiarato una giovane donna sopravvissuta ad un attacco ad un centro di istruzione nella capitale ad inizio dell’anno ribadendo che “Le autorità talebane vogliono solo che le loro donne restino a casa e mettano al mondo dei figli”.
Anche gli studenti maschi hanno espresso sconcerto per questo ultimo editto e, per solidarietà con le colleghe, hanno boicottato gli esami per protesta nella cittadina orientale di Jalalabad. Gli USA, l’UE e undici Ministri degli Esteri hanno contestato la decisione dei talebani rilasciando una dichiarazione congiunta. Anche la comunità internazionale ha fatto del diritto all’istruzione per tutte le donne un punto critico dei negoziati sugli aiuti e sul riconoscimento del regime talebano. Il dipartimento di Stato americano dichiara che ci saranno “gravi conseguenze”.
Non sappiamo fino a che punto si possa credere alle parole di un rappresentante di un paese, come gli USA, che in venti anni di occupazione non è riuscito a cambiare il volto di questo paese, come aveva promesso, dichiarando di fatto la propria sconfitta, riconsegnando il paese nelle mani del gruppo islamista più odiato per le sue posizioni più retrive, soprattutto nei confronti delle donne.
Che cosa si può fare in Europa e nel mondo per riconoscere alle donne il loro ruolo e la loro funzione preziosa per il progresso di questa società ancora legata purtroppo a pregiudizi vecchi di secoli che continuano a perpetuare un clima di forti limitazioni e discriminazione nei confronti del sesso femminile? C’è bisogno di affrancare la società dall’oscurantismo religioso, partendo dalle scuole fin dal primo grado in quanto la scuola è una fonte di conoscenza che può servire a tutti gli studenti, di qualsiasi sesso, a riconoscere la pari posizione della donna in tutti i settori, un po’ quello che accade per le lotte contro le discriminazioni razziali. Ma soprattutto tener presente che la battaglia può dirsi vinta solo se si vada nella direzione di un cambiamento sociale e politico che possa mettere fine alle guerre, alle persecuzioni contro le minoranze sessuali o razziali che siano. Un percorso lungo ma legato indissolubilmente ai cambiamenti di una società in crisi che ha fatto il suo tempo, aprendo un’altra fase nella storia dell’umanità.
Questa battaglia può essere vinta solo con la partecipazione di quanti abbiano a cuore la salvezza del pianeta e la fine della moderna schiavitù industriale. Meno profitto, più cultura, meno armi e più cibo, meno ignoranza e più rispetto della natura. Oggi ha scritto bene un giornalista sulle pagine de La Repubblica “la condanna all’ignoranza per le afghane è un macigno sul presente e sul futuro di questo popolo”. E lo è ancora di più per le nostre coscienze e per le nostre convinzioni democratiche che vanno riaffermate e sostenute in ogni ambiente sociale e culturale.