La fuga dei giovani dall’Italia
Un altro dei problemi che la classe politica non ha saputo affrontare è quello della disoccupazione giovanile che ha portato ad una lenta ma continua migrazione di forza-lavoro, soprattutto verso l’Europa. Una migrazione che è ben diversa da quella degli anni ’50 perché partono sempre più spesso quelli che hanno una formazione a livello universitario o tecnico. “E’ la “migliore gioventù” che lascia l’Italia: 250 mila ragazzi persi negli ultimi dieci anni, al netto di quelli rientrati” come scrive La Repubblica del 29 settembre scorso. Alla base delle scelte di molti giovani resta il lavoro. Se il tasso di occupazione dei giovani in Italia si assesta al 17%, per i giovani italiani che lavorano all’estero esso balza addirittura al 51%. La meta più ambita resta ancora la Gran Bretagna, al secondo posto troviamo la Germania, seguita da Svizzera e Francia. Ma non mancano neppure le destinazioni extra-europee. Questo fenomeno costa all’Italia circa 16 miliardi di euro (per mancato PIL prodotto) senza contare le spese affrontate dalle famiglie e dallo Stato per la loro istruzione. La maggior parte di essi non farà più ritorno in Italia soprattutto quando l’inserimento nel nuovo paese non è solo più professionale ma anche familiare. Si perde così un capitale umano fondamentale per il nostro paese anche perché il loro posto non verrà ad essere coperto dai migranti che arrivano in Italia che continuano a svolgere mansioni scarsamente qualificate. Tra pochi anni, in alcuni settori, si sentirà la loro mancanza per cui si farà fatica ad assicurare certi servizi come quello medico che, in parte già oggi, viene soddisfatto grazie all’ arrivo nel nostro paese di personale medico proveniente dai paesi cd. emergenti. Proprio nel settore medico, ma anche nel settore delle tecnologie avanzate, i nostri giovani all’estero possono contare su benefit generosi, come l’assegnazione dell’alloggio o su servizi sociali come gli asili nido per i figli minori ed un buon livello scolastico per quelli più grandi. Insomma, molti paesi europei offrono ai nostri tecnici ed ai nostri giovani che escono dalle nostre università non solo la sicurezza di poter collaborare professionalmente allo sviluppo della società ma anche di integrarsi pienamente nel paese di accoglienza. Bisogna ricordare che molti laureati in Italia – soprattutto nel settore umanistico – sono costretti a lavorare nei call-center con un compenso davvero poco dignitoso? Che cosa fa lo Stato per trattenere questi giovani in Italia? Ben poco anche perché le risorse sono indirizzate a coprire i debiti di bilancio accumulati in questi anni, a foraggiare guerre in ogni parte del globo per difendere il prestigio nazionale o a tenere in piedi, come capita per l’Alitalia, aziende decotte che divorano decine di miliardi pagati dallo Stato e dunque da noi cittadini. Se solo la protesta giovanile potesse portare ad un cambiamento di rotta radicale, ebbene ben venga questa protesta. Uno Stato che non è capace di assicurare alle nuove generazioni un lavoro dignitoso, non può avere alcuna capacità di ripresa, perdendosi la battaglia politica nei mille rivoli della polemica personale che riempie le pagine dei giornali, dimenticando qual’è il compito che spetta ad uno Stato moderno che, nel caso italiano, mostra di non avere alcun programma per il futuro dei nostri giovani e per assicurare il benessere generale. E tutto ciò non potrà avvenire se non si combattono fino in fondo le illusioni sovraniste e se non si costituisce un buon rapporto con l’UE di cui siamo parte integrante. E questo obiettivo purtroppo è ancora lontano dall’essersi realizzato.
6/12/2019