La crisi politica in Gran Bretagna allontana l’ipotesi di una soft-Brexit
Dopo essere uscita indenne dalla mozione di sfiducia promossa dal suo partito nel dicembre scorso, la May sembra che abbia perso ogni cognizione sui tempi stretti di cui dispone per portare in porto una soluzione accettabile per il popolo inglese. Anche perché, non avendo i numeri per far passare l’intesa con l’Ue, la premier ha rinviato la ratifica per l’accordo a gennaio sollevando sia le proteste dell’opposizione laburista ma anche dall’ala più oltranzista del suo partito che l’accusa di aver siglato con l’UE un accordo disastroso per gli interessi della Gran Bretagna. Ormai è passato anche il mese di gennaio e la situazione comincia a diventare incandescente in quanto non ha trovato una sponda europea per cambiare l’accordo. Anche se il Parlamento inglese nella seduta del 29 gennaio ha approvato la proposta di riaprire, due mesi dopo averlo concluso, il negoziato con l’UE sulla delicata questione del “backstop”, c’è da aggiungere che l’UE non è affatto intenzionata a riaprire la trattativa. “Il negoziato – dichiara il Presidente della Commissione Juncker – non è accettabile” ammonendo che “la decisione della Camera dei Comuni aumenta il rischio di un’uscita disordinata dall’UE ovvero di un “no deal” ”, un divorzio senza accordo che potrebbe provocare una grave crisi istituzionale. Anche se il Parlamento inglese è contrario al “no deal” non è detto che esso non possa diventare realtà, perché il 29 marzo, in mancanza di un improbabile accordo, il Regno Unito uscirà dall’UE provocando un terremoto economico. Non a caso la sterlina è precipitata e nessun aiuto può chiedere la May al partito laburista in quanto Corbyn non aspetta altro che andare alle elezioni per riprendersi una rivincita sul partito conservatore. Insomma, se a giusta ragione in Italia ci lamentiamo della cecità dei nostri governanti, il popolo inglese non può ritenersi più fortunato di noi. Perché una strada ci sarebbe e sarebbe anche la più semplice e la più ragionevole, quella di indire un nuovo referendum che potrebbe capovolgere l’esito del referendum del 2016 che aveva solo un valore consultivo ma il ceto politico anglosassone, conservatori e laburisti, sembra scandalizzato da questa ipotesi che li metterebbe alla berlina, prima che sul piano internazionale, anche sul piano interno. Resta, dunque, solo la strada della “hard Brexit”. In tal caso, secondo le analisi del governo inglese, l’economia del Regno Unito diminuirà del 7,7% nei 15 anni dopo la Brexit. Per la Banca d’Inghilterra la contrazione sarà dell’8% mentre la sterlina perderà fino ad un quarto del suo valore. Difronte a questa prospettiva che dovrebbe far tremare i polsi anche al politico più esperto, solo uno scrittore come Frederick Forsyth poteva dichiarare di essere soddisfatto di un “no deal” ma in nome ovviamente di quello che è stato il passato della Gran Bretagna, un paese colonialista che ha vissuto nel benessere grazie alle rapine nei paesi del Commonwealth, senza rendersi conto che già da molti anni è cambiata la situazione geo-politica di questo nostro mondo. Dazi, code e restrizioni dell’autotrasporto metteranno in crisi i consumi alimentari: si parla di razionamento dei generi alimentari e anche il settore sanitario comincerà a soffrire per la mancanza di scorte senza parlare dell’emergenza che scatterebbe per interi settori, come quello automobilistico che dà lavoro a un milione di persone. La Gran Bretagna si priverà di tante cose, dall’accesso al mercato unico dei servizi aerei, ai fondi di sviluppo regionali: un vero e proprio terremoto che dovrebbe dar da pensare a quei paesi, come il nostro, che sta facendo di tutto per restare isolato rispetto al resto dell’Europa. Neppure andrebbero trascurati, alcuni segnali come le continue manifestazioni che si susseguono in Gran Bretagna a favore dell’Europa come anche qualche segnale più forte – come quello di Londonderry– dove è scoppiata una bomba per strada facendo temere un ritorno al passato. In effetti, quello del destino dell’accordo intervenuto tra Repubblica Irlandese e Irlanda del Nord (regione che fa parte della Gran Bretagna) è il problema più spinoso per il Regno Unito e ciò dovrebbe essere il fattore che potrebbe essere decisivo per rivedere la decisione di uscire dall’UE. Ne avrà la forza Theresa May o chi la sostituirà nei prossimi mesi? Non si può azzardare alcuna soluzione, anche perché c’è un certo parossismo all’interno del governo inglese che avrebbe addirittura un piano per evacuare da Londra la famiglia reale in caso di “no deal”. “God save the queen” dice l’inno inglese. Noi speriamo che “God save the people”!!
La crisi politica in Gran Bretagna allontana l’ipotesi di una soft Brexit