LA CORTE dei CONTI UE e la TAV
Recentemente la Corte dei Conti europea, esaminando i costi della infrastrutture di trasporto dell’UE, nella relazione conclusiva ha criticato i continui ritardi nell’attuazione di alcuni megaprogetti. In particolare si è occupata di esaminare, sotto il profilo dei costi, otto megaprogetti. Si tratta di importanti progetti per unificare tutta la rete europea. A causa dei ritardi accumulati, la Corte ritiene che verosimilmente la rete centrale non sarà operativa entro il 2030, come era stata pianificato nel 2013, mettendo a rischio l’efficace funzionamento di cinque dei nove corridoi TEN-T. Tra essi rientra anche il collegamento ferroviario tra Torino e Lione, che i giudici non ritengono sostenibile finanziariamente perché destinato ad essere realizzato solo nel 2030. La Corte considera la TAV l’opera infrastrutturale più cara d’Europa, a causa dell’incremento dei costi rispetto al progetto iniziale. Ma può questa valutazione di natura esclusivamente finanziaria bloccare i lavori della TAV e quindi il collegamento tra le due città che rientra nel progetto più generale di creazione di un sistema di trasporto su rotaia integrato a livello europeo? In effetti il ritardo c’è stato ma non si trattava di problemi tecnici ma di valutazioni squisitamente politiche. Questa stroncatura della Corte dei Conti metterebbe in crisi la realizzazione di un sistema europeo, per cui neppure è condivisibile la valutazione – tutta da dimostrare – che non ne beneficerebbero neppure le comunità locali che spesso hanno protestato temendo danni ecologici a tutto l’eco sistema dimenticando che passando il trasporto merci dalla strada alla rotaia, certamente si avranno notevoli benefici nella qualità di vita delle popolazioni che non saranno più avvelenate dal passaggio di centinaia di migliaia di autocarri, che costituiscono un fattore di inquinamento notevole. Sempre per restare sul piano finanziario, c’è da dire che l’aumento dei costi (+85%) cui fa riferimento la relazione della Corte dei Conti europea si riferisce ad un vecchio studio effettuato negli anni 90. All’inizio di quest’anno Francia e Italia hanno sottoscritto un piano di aggiornamento del progetto iniziale predisposto da Telt (il consorzio che si occupa della realizzazione dell’opera) per la realizzazione delle infrastrutture che prevede la data di messa in servizio dell’opera nel 2030, senza alcun aumento di prezzo, sempre che non inizi un’altra fase di contestazione da parte del movimento NO-TAV. Ma per valutare ragionevolmente il rapporto tra benefici e costi va ricordato che attualmente l’interscambio di merci tra i due paesi ammonta a 80 miliardi di euro per 44 milioni di tonnellate, che per il 92% sono trasportate su strada contro l’8% su rotaia. Questo è dovuto soprattutto alla obsolescenza della linea storica la cui galleria transfrontaliera non soddisfa più gli attuali standard di sicurezza. Nel 2018 oltre tre milioni di automezzi pesanti hanno attraversato i valichi alpini contribuendo all’inquinamento atmosferico e anche all’aumento della temperatura che finisce per accelerare lo scioglimento dei ghiacciai. Questa struttura, approvata dagli Stati dell’UE, mira a riequilibrare la quota modale del trasporto merci nelle Alpi, in totale coerenza con le politiche europee a favore di un trasporto più ecologico e competitivo. Il M5S non ha mai fatto mistero di opporsi alla realizzazione dell’opera per cui, mentre già il movimento NO-TAV ha promesso di scendere di nuovo nelle piazze, anche i senatori piemontesi chiedono lo stop della TAV, disegnando un futuro apocalittico e danni ambientali drammatici. L’estate scorsa, prima che si insediasse il nuovo governo, era stato lo stesso Conte Presidente del Consiglio nella coalizione giallo-verde a mettere fine all’opposizione del M5S dichiarandosi a favore della realizzazione di quest’opera perché le spese per il completamento sono inferiori a quelle previste nel caso di arresto dei lavori e in tal modo si era espresso anche il Parlamento italiano. Tra l’altro, sotto il profilo istituzionale, l’opera fu approvata dai Parlamenti francese e italiano per cui un recesso unilaterale andrebbe votato dal Parlamento e non certamente dal governo che non ne ha il potere. Ancora, va ricordato che, in caso di una decisione negativa, bisognerà rimborsare all’UE i fondi di cui abbiamo beneficiato e a pagare alla società incaricata di realizzare il progetto un robusto indennizzo per il recesso unilaterale dal contratto. E c’è un ultimo aspetto che non va sottaciuto. L’Italia fa parte dell’UE che all’epoca ha espresso la sua adesione al progetto, sostenendone in parte anche i costi. Un’opera che riguarda, dunque, l’Europa, che si inserisce nella prospettiva di assicurare nei prossimi decenni ai cittadini di poter utilizzare una linea ferroviaria interconnessa dalle sponde dell’Atlantico all’Ucraina, limitando così il trasporto su strada con beneficio per tutto il continente. Una eventuale decisione di bloccare l’opera ci porrebbe obiettivamente fuori da un progetto che è già in fase di avanzata attuazione (si parla anche della realizzazione della galleria del Brennero) con grave pregiudizio economico anche della nostra industria ferroviaria che sta dimostrando di avere tutta la tecnologia per partecipare a questi progetti che assicurano lavoro alla nostra industria e alla nostra classe operaia in un periodo in cui la crisi sta creando nuove sacche di disoccupazione. L’ammodernamento della rete ferroviaria europea porterà anche a limitare il trasporto aereo e dei mezzi di trasporto su strada che stanno avendo una forte diffusione aumentando l’inquinamento atmosferico. Se l’obiettivo europeo è quello di uno sviluppo sostenibile sotto il profilo ecologico non ci sono ragioni per fermare il completamento di questo progetto.
26/06/2020