IL DISEGNO DI LEGGE PILLON IN CADUTA LIBERA
Nelle scorse settimane ho partecipato ad un dibattito organizzato qui a Cesena dall’associazione IPAZIA – Libere donne – per protestare contro il disegno di legge presentato dal senatore Pillon che segna un notevole arretramento culturale rispetto ai diritti riconosciuti ai minori nati fuori dalla famiglia tradizionale. Pensavo di ritrovarmi con un uditorio abbastanza scarso e non nascondo la mia sorpresa di trovare una sala piena di persone, soprattutto donne, pronte ad impegnarsi nella battaglia contro chi vuole limitare i diritti civili e il riconoscimento della parità di genere. Non starò qui a commentare i limiti di questo progetto di riforma del diritto di famiglia e i suoi profili di incostituzionalità, ponendosi a difesa della famiglia tradizionale e mettendo nell’angolo quei gruppi familiari che non corrispondono allo schema classico della famiglia in senso cristiano. In effetti, anche la nostra Costituzione, quando parla di difesa della famiglia, non la identifica affatto con lo schema della famiglia cristiana. Nell’evoluzione della società non c’è un solo tipo di famiglia per cui la tutela che accorda la Costituzione alla famiglia comprende ogni tipo di istituto familiare basato non sempre sulle figure tradizionali del padre (uomo) e della madre (donna) ma tutte quelle che, comunque, costituiscono un gruppo di persone legato da legami affettivi, con minori anche generati fuori dallo schema della famiglia tradizionale. Situazione nuova che non confligge con il dettato costituzionale, frutto dell’evoluzione della società verso modelli diversi da quelli tradizionali. D’altra parte, nessuno si è mai sorpreso del carattere matriarcale di alcuni tipi di società che riconosce al maschio il ruolo biologico nella procreazione ma escludendolo dalla educazione dei minori che spetta esclusivamente alle donne. Senza dimenticare che – in periodi non lontani – mi riferisco agli anni della contestazione – si è provato a creare un tipo di famiglia allargata; esperimento fallito allora ma che potrebbe essere – in fase di decrescita economica e di crisi demografica – un’ipotesi che potrebbe aiutare ad aprire la strada ad un nuovo assetto sociale e politico. Non è un caso se questo disegno di legge sia stato partorito da una parte politica che difende a spada tratta la famiglia tradizionale, mandando all’aria tutte le riforme del diritto di famiglia che ha riconosciuto parità di genere, e che ha dato pari dignità anche a quelle famiglie che si sono formate sulla base di un modello difforme da quello tradizionale. Recentemente, in un convegno organizzato presso l’Università di Pavia, che aveva invitato il senatore Pillon per un dibattito sul disegno di legge, molti docenti si sono dissociati da questa iniziativa mentre lo stesso promotore dell’iniziativa, il prof. Carlo Rimini che insegna diritto di famiglia, ha spiegato le “molte perplessità” di questo disegno di legge e “il dubbio che questo nasconde una discriminazione di genere”. Più che un dubbio, se ne ha certezza se solo si legge il testo del disegno di legge ampiamente contestato oltre che dai professori, anche dai ricercatori, studenti ed ex studenti di Pavia. La stessa presenza di Salvini alla manifestazione di Milano di qualche giorno prima conferma quello che è l’obiettivo di questo governo di discriminare le famiglie formate da coppie omosessuali. Anche se il M5S, ha dichiarato di voler riscrivere il testo del disegno di legge Pillon, è entrato in vigore il decreto del Ministero dell’Interno che ha modificato le modalità di rilascio della carta d’identità dei minori sostituendo le parole “dai genitori o tutori in caso di minore” con le parole “dal padre o dalla madre disgiuntamente o dai tutori, in caso di minore”. Intervenendo su questa modifica, già con provvedimento del 31.10.2018 il Garante della Privacy aveva sottolineato “possibili profili di criticità nei casi in cui la richiesta della carta d’identità, per un soggetto minore, sia presentata da figure esercenti la responsabilità genitoriale che non siano esattamente riconducibili alla specificazione terminologica “padre” o “madre”, potendosi pervenire in alcuni casi ad escludere la possibilità di rilasciare il documento a fronte di dichiarazioni che non rispecchiano la veridicità della situazione di fatto derivante dalla particolare composizione del nucleo familiare”. Contro questo decreto, a firma, non a caso, dei ministri Salvini, Bongiorno e Tria – non a caso – si sono già sollevate le proteste delle famiglie Arcobaleno che parlano giustamente di norma incostituzionale in quanto i figli dei genitori omosessuali rischiano di non poter avere la carta di identità valida per l’espatrio mentre per quanto riguarda il documento valido solo per l’Italia, i minori dovranno rinunziare ad una parte della loro famiglia perché potrà essere indicato solo uno dei genitori. C’è già chi è pronto a ricorrere alla Corte di Strasburgo perché si tratta di una aperta violazione della Convenzione EDU mentre la CGIL annuncia che chiederà la cancellazione di una norma, definita non a torto, una “orrenda e intollerabile discriminazione di famiglie già esistenti”. In effetti, con un decreto di competenza di un singolo ministero, si tenta la strada di sovvertire l’applicazione di norme già esistenti. Un percorso sicuramente che confligge con la norma non solo ordinaria ma anche con quella costituzionale. La regione Piemonte, dove ci sono stati i primi casi di trascrizione degli atti di nascita di bambini con due mamme, si è detta disposta ad aiutare finanziariamente le coppie che vorranno ricorrere, in nome dei figli, e del loro diritto all’uguaglianza. Ancora una volta ci troviamo difronte ad un ennesimo tentativo, attraverso il ricorso ad uno strumento normativo improprio, in questo caso, per restringere il campo di applicazione di una norma ordinaria. Un grave abuso di potere cui speriamo si ponga rimedio presto da parte delle forze politiche.