IL CORONAVIRUS IN BRASILE
Con 2240 casi e 566 morti il Brasile è uno dei paesi che stanno soffrendo maggiormente della pandemia dal coronavirus grazie anche all’atteggiamento superficiale assunto dal presidente Bolsonaro che fin dall’inizio dell’emergenza ha definito il virus “solo un’influenza” provocando un durissimo scontro istituzionale con i governatori più importanti e con le massime autorità giudiziarie. Senza dimenticare le accuse che il figlio Eduardo ha lanciato alla Cina di essere responsabile del coronavirus, che hanno provocato una dura reazione da parte dell’ambasciatore cinese. San Paolo, dove si sono registrati 540 morti in venti giorni di isolamento, è il principale focolaio dell’infezione ma l’epidemia sta minacciando anche le foreste amazzoniche: la stampa ha riportato il caso di una prima vittima, un ragazzo di 15 anni morto dopo essere stato intubato per una settimana. Proveniva da un villaggio in Amazzonia dove oltre 70 abitanti, compresi i genitori del ragazzo, sono in isolamento. I dati ufficiali parlano di 24 casi sospetti su 850 mila indigeni per cui si teme che il coronavirus si sia già infiltrato tra le tribù più esposte. I timori sono aumentati dopo aver accertato che il presidente Bolsonaro avrebbe appena concesso ad un’associazione religiosa USA di andare ad evangelizzare alcune tribù più isolate nelle foreste amazzoniche con la prospettiva che, oltre a portare la parola di Dio, i missionari diventino essi stessi potenziali portatori del contagio per cui gli indigeni si stanno attrezzando per chiudere i loro territori agli stranieri per salvare le tribù da una vera e propria decimazione. E non sarebbe certo neppure la prima volta. Anche in altre regioni remote altre comunità chiuse come gli eschimesi che si sentono vulnerabili alle malattie esterne o come le comunità aborigene in Australia, stanno presidiando i loro confini per garantire che nessuno li violi.
15/4/2020