IL CASO BRUSCA
Dopo 25 anni trascorsi in carcere ritorna ad essere libero l’ex collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, reo confesso di aver azionato il telecomando della strage di Capaci dove trovarono la morte il giudice Falcone insieme alla moglie ed alla sua scorta. Autore di altre decine di omicidi, tra cui quello efferato del piccolo Giuseppe Di Matteo, Brusca cominciò a collaborare subito dopo il suo arresto nel maggio 1996. Collaborazione che ha continuato a dare in decine di processi, da ultimo davanti ai giudici di Palermo che si sono occupati della “trattativa Stato-mafia”. Scarcerato in base alla legge: libertà del tutto legittimamente negoziata con lo Stato. Una scarcerazione che ha sollevato tanta indignazione da parte di magistrati e politici che avanzano l’ipotesi di rivedere la legge sui collaboratori di giustizia. Anche la sorella del magistrato Falcone, pur con amarezza, ha ricordato che “quella legge l’ha voluta anche Giovanni ed ha consentito di scardinare tanti gruppi criminali”. A sparare a zero su questa scarcerazione ancora una volta troviamo Salvini che ha dichiarato che “questo è un insulto alla memoria di chi non c’è più, una vergogna per l’Italia”. A nostro avviso una vicenda del genere dovrebbe essere trattata con acume e moderazione che però mancano al prode condottiero della Lega che trova ogni occasione per far crescere la sua popolarità. Mentre le forze della coalizione come il PD e il M5S invitano “tutte le forze politiche a scongiurare il colpo di spugna sull’ergastolo ostativo” con esame e approvazione in tempi rapidi della nuova legge che la Corte Costituzionale ha rinviato in Parlamento dando ancora un anno alle forze politiche per scrivere una buona norma, non dimenticando che la possibilità di liberazione condizionale va riconosciuta anche ai mafiosi condannati all’ergastolo che non abbiano collaborato con la giustizia. Ed è giusto che sia così se si vuole rispettare la norma costituzionale in quanto la pena deve tendere alla riabilitazione del condannato laddove l’ergastolo è una condanna a vita che contrasta con questo principio basilare della norma in questione. E “questo contesto non può essere dimenticato di fronte alla (pur comprensibile) reazione emotiva per la scarcerazione dell’autore materiale della strage di Capaci”. Scrive Giuseppe Pignatone, altro magistrato protagonista della lotta alla mafia, sulle colonne de La Repubblica. E senza dimenticare che la norma sull’ergastolo ostativo va applicata anche in molti altri casi di ergastolani che scontano questa pena per altri delitti non connessi alla criminalità organizzata. E pensiamo ai reati ambientali, ai disastri causati dall’incuria o peggio da sete di profitto, ai tanti casi di operai morti sul posto di lavoro per violazione delle norme di sicurezza. Non crediamo che tali delitti siano di gravità inferiore a quelli di mafia ma non possiamo dimenticare che “il diritto alla speranza” cui accenna la nostra Corte Costituzionale, possa essere stravolto dalle manfrine del potere politico. Forse sarebbe matura l’ipotesi di rivedere tutta la normativa penale in quanto il carcere non è più uno strumento adeguato per combattere il crimine. E’ sempre l’ex giudice Pignatone nell’articolo sopra richiamato a mettere in guardia sulla modifica della legge sui pentiti in quanto “ormai da anni la prova principale nei processi per mafia è costituta da intercettazioni” una prassi investigativa oggetto di feroci critiche da quegli stessi che, di fronte alle dichiarazione dei “pentiti” invocano riscontri “oggettivi…”. “Tuttavia – aggiunge Pignatone – i collaboratori di giustizia rimangono oggi uno strumento fondamentale per conoscere le mafie…e contrastare meglio le attività criminali”. Se questo è il quadro attuale, bisogna lavorare perché il crimine – la devianza sociale – per dirla in termini più scientifici, venga combattuta non solo con l’arma della repressione, che colpisce l’atto di trasgressione ma non la malattia. In una società per molti versi evoluta come la nostra, la misura da adottare verso chi delinque, non può continuare ad essere quella della privazione della libertà che dimostra sempre di più i suoi limiti ma utilizzare una politica sociale che valga ad attenuare le discriminazioni sociali, a lottare contro la povertà e le malattie, ad esaltare i valori della dignità dell’uomo, a far crescere la solidarietà all’interno della società in modo da limitare sempre di più le devianze sociali. E questo sarebbe un primo passo nella direzione di una società più giusta, più coesa, più libera. Può sembrare un programma irrealizzabile ma questo dipende solo dalla capacità di una classe politica di invertire la rotta del nostro percorso futuro.
Giugno 2021