IL CAPORALATO A CASA NOSTRA
Chi credesse che il fenomeno del caporalato nelle campagne fosse un fenomeno relegato nel Sud d’Italia, si sbaglia di grosso. Secondo una denuncia apparsa su “Piazza Grande” – giornale degli homeless pubblicato a Bologna – il fenomeno è ben radicato anche nella nostra regione, come racconta un bracciante che ha segnalato la sua condizione e quella dei suoi compagni alla CGIL di Ravenna ma senza sporgere denuncia nel timore di perdere, lui e gli altri lavoratori – italiani e stranieri- quel poco che hanno.
Come spiega il segretario del sindacato di Ravenna “molti lavoratori vengono da noi ma poi alla segnalazione non fa seguito una denuncia”. Sulla stessa linea d’onda – aggiunge il foglio – è anche Mauro Spazzoli, segretario del FLAI-CGIL di Cesena il quale aggiunge che a suo avviso “le segnalazioni e le denunce che ci sono pervenute fino ad ora sono solo la punta dell’iceberg”. Si calcola che il 20% dei trentamila e passa lavoratori – secondo l’osservatorio sindacale – “è vittima di grave sfruttamento della manodopera che imperversa nelle aree metropolitane di Ravenna e Forlì-Cesena”. Se questa è la situazione, e non abbiamo motivo di dubitarne, vorremmo conoscere quali iniziative abbia messo in campo il sindacato per contrastare tale fenomeno.
Purtroppo la sovrabbondanza di manodopera si è rivelata un potente strumento di coercizione delle imprese agricole che ha portato ad una riduzione drastica dei salari e ad una guerra tra poveri, tra italiani e stranieri.
Il fenomeno è ben strutturato. Vengono create false cooperative di lavoro: la quasi totalità dei lavoratori che vengono arruolati, vengono spesso pagati in nero e, quando percepiscono uno stipendio, sono costretti a restituirne in contanti una buona parte al caporale, pena il licenziamento. Il salario varia tra i 30 e 40 euro al giorno per una giornata di lavoro di 12-13 ore. Inoltre, queste finte cooperative affittano a prezzi stracciati i capannoni sparsi un po’ dovunque nelle campagne che poi riaffittano ai lavoratori, soprattutto stranieri, chiedendo loro 150-200 euro a posto letto.
Questo sistema di caporalato si è diffuso anche in altri settori quali il turismo e la logistica. Nell’estate scorsa molti lavoratori stagionali, soprattutto giovani provenienti dal Sud, si sono rifiutati di lavorare sia per gli stipendi bassi ma anche perché sfruttati per 10-12 ore al giorno e assunti senza contratto.
Certo, se il turismo produce ricchezza, questa non lo è per tutti e per quanto riguarda gli stabilimenti balneari c’è da ricordare che molti gestori dei bagni hanno ottenuto alla chetichella il rinnovo delle concessioni in scadenza, sottraendosi così agli obblighi imposti da una legge europea che impone che lo Stato per il rilascio delle concessioni deve fare un regolare bando di gara.
Due le conseguenze negative: la prima è che lo Stato in questo modo continua a prendere un affitto irrisorio mentre i gestori dei bagni – piccoli e grandi – continuano a mietere profitti e dall’altra parte essi continuano ad assumere i giovani o con contratti di miseria o soprattutto al nero. Altro sistema di sfruttamento è quello delle assunzioni con la qualifica di tirocinante che, in realtà, non sono trattati da tirocinanti ma obbligati a lavorare come se fossero veri e propri dipendenti.
Vorremmo che, se fino ad oggi non vi è stata o una larvata forma di tolleranza del fenomeno, sindacato e istituzione intervengano per far cessare questo intollerabile sfruttamento del lavoro di migliaia di braccianti agricoli.
Ottobre 2019