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GUERRA E PACE IN AFGHANISTAN

Dopo venti anni di occupazione militare, gli USA e i suoi alleati in seno alla NATO hanno deciso di abbandonare l’Afghanistan a se stesso, dopo il fallimento di ogni prospettiva di pace.

C’è infatti da riconoscere che la guerra non è affatto cessata anche se nel prossimo futuro si combatterà tra le varie fazioni in lotta all’interno del paese. Questa guerra, iniziata nel 2001 per soddisfare la sete di vendetta degli USA a seguito dell’attentato alle Twin Towers, lascia sul terreno un bilancio tragico e disastroso: oltre 46mila civili uccisi, 3596 militari occidentali caduti di cui 2448 statunitensi, 52 italiani e decine di migliaia di bambini orrendamente mutilati dalle mine antiuomo diffuse su tutto il territorio per cui passeranno decine di anni prima di poterlo mettere in sicurezza. “Santuario del terrorismo internazionale” era stato definito l’Afghanistan venti anni fa da George Bush Jr. iniziando la stagione della “guerra permanente” propagata poi anche all’Iraq, infiammando e rendendo insicuro tutto il Medio Oriente, con milioni di profughi che, ancora oggi, stazionano nelle prigioni di Stato turche in attesa di una improbabile destinazione in Europa. Una guerra quella tra l’Iraq e la NATO che ha stravolto qualsiasi possibilità di mediazione facendo crescere il gigante turco che oggi controlla con il suo apparato militare tutto il Medio Oriente. Per ritornare all’Afghanistan, la storia avrebbe dovuto insegnare che non esiste soluzione militare in Afghanistan. Il crollo militare sovietico cominciò proprio su queste montagne con una guerra che durò più di dieci anni senza ottenere alcun risultato utile. Lo stesso era avvenuto per l’impero britannico che, come è capitato poi anche all’URSS e alla NATO, è riuscito a controllare solo alcune città ma con la maggioranza del territorio in mano ai ribelli. Lo stesso sta avvenendo oggi con la nuova amministrazione Biden che ritira i suoi uomini da un paese in cui il 70% del territorio non è stato mai sotto controllo alleato. Donald Trump aveva firmato un primo “accordo di pace” con i talebani che prevedeva il ritiro dei soldati entro il primo maggio, termine prorogato poi da Biden fino alla data simbolica dell’11 settembre.

Ovviamente il timore di un ritorno dei fondamentalisti mussulmani al timone del paese preoccupa la ancora fragile società civile con il rischio concreto di ripiombare sotto il regime arbitrario e oscurantista della Sharia.

Non fanno una bella figura neppure gli alleati europei, con l’Italia in prima linea, che avevano accettato di assecondare l’alleato USA in cerca di vendetta e ora ne subiscono, non senza fastidio, le decisioni unilaterali. Certo anche questo capitolo fa parte dei complessi rapporti di forza tra alleati sulla carta ma prossimi avversari sia sul piano economico che per quanto riguarda l’ordine mondiale. In effetti l’UE, pur aderendo formalmente ai piani del nuovo Presidente USA, se nei prossimi anni intenderà effettivamente giocare un ruolo primario a livello mondiale, sarà costretta ad abbandonare ogni esitazione e sganciarsi dall’alleato USA che, ancora una volta, sta cercando di piegare gli alleati ai suoi piani di grande potenza. A tal proposito, anche l’Italia non ha aperto alcuna discussione sul fallimento di questa missione e non sembra neppure interessata a cambiare strada in quanto il primo obiettivo del Ministro della Difesa è quello di difendere gli interessi della grande industria militare italiana per cui ha già anticipato che gli 800 militari che stanno lasciando l’Afghanistan non torneranno a casa ma saranno impiegati all’estero, a difesa del fianco Sud dell’Alleanza militare, probabilmente in Africa Centrale, per chiudere le porte dell’immigrazione in Europa.

Sinceramente, il ritiro delle forze armate da parte degli USA e della NATO, non riporterà la pace in queste lande desolate ma al contrario lascerà dietro di sé una lunga scia di sangue. Già nel maggio scorso, subito dopo l’annuncio del ritiro delle truppe americane e dei loro alleati dall’Afghanistan è tornata nella capitale la violenza che ha fatto almeno 55 vittime, tutte studentesse a Kabul.

Ma la violenza è diffusa anche nelle altre zone del paese. Per i fondamentalisti sunniti gli sciiti sono nel mirino da sempre ma potrebbe esserci anche la mano dei talebani. Aldilà delle responsabilità, il massacro delle studentesse ribadisce che il paese è ben lontano dall’essere pacificato ma per il presidente americano è sufficiente credere all’impegno dei Talebani secondo cui il paese non sarà più la base per attentati all’estero. Ma questo non vale per la società civile, per chi abbia lavorato con gli occidentali come gli interpreti, oltre 70 mila persone che convivono con l’incubo di una vendetta dei talebani che li considerano “spie del nemico”. Il ministro Guerini ha dichiarato che la Difesa s’impegna a tenere in assoluta considerazione le esigenze di protezione richieste dagli interpreti, una cinquantina di persone, più i familiari, in tutto oltre 400 persone che hanno richiesto asilo politico in Italia.

A sentire il ministro italiano Guerini, l’Italia lascia questo paese “dopo aver ottenuto risultati rilevanti per la sicurezza internazionale e la libertà del popolo afgano”. Parole che non servono a coprire il fallimento di un intervento che doveva pacificare un territorio e soprattutto dare una prospettiva di pace e di sicurezza al popolo afgano.

Da domani saranno le forze di sicurezza afgane a dover fronteggiare le minacce della democrazia” dichiara sempre il ministro Guerini, ribadendo l’impegno dell’Italia di restare al loro fianco “per garantire l’addestramento e il potenziamento perché il paese non torni ad essere un posto sicuro per i terroristi”. E’ questo il grande incubo che certamente obbligherà al contingente italiano (con l’assenso dell’alleato USA) a restare in questo scenario di guerra, che certamente continuerà ad agitare il sonno di quanti resteranno per garantire una parvenza di pace.

Guerra e pace in Afghanistan

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