FONDI UE – ITALIA SPRECONA
I fondi strutturali europei sono destinati agli investimenti con l’obiettivo di ridurre le differenze regionali e creare lavoro e sviluppo. Ma l’Italia nel periodo 2014-2020 ha usufruito solo per il 9% dei fondi stanziati dall’UE e, ovviamente, se non ci saranno futuri investimenti di qui al 2020, quelli non utilizzati dovranno essere restituiti all’UE. Senza di essi – scrive “La Repubblica” – la crisi economica del 2008 avrebbe depresso gli investimenti pubblici di un ulteriore 45%. La proposta di bilancio comunitario per il prossimo sessennio (2020-2026) porterà nelle casse dell’Italia 2,4 miliardi in più rispetto al periodo anteriore. E’ un aumento che tiene conto, oltre al PIL pro capite, anche di altri criteri, a cominciare dalla disoccupazione giovanile. Smentiti dunque gli annunci dell’attuale governo pronto a protestare per i fondi tagliati rispetto ai contributi versati dall’Italia. Tuttavia questi fondi sono legati strettamente alla realizzazione delle riforme indicate nella raccomandazione UE e non potranno servire a finanziare misure come il reddito di cittadinanza.
Nel recente passato, purtroppo, tali fondi invece di servire a finanziare le opere pubbliche, sono serviti a livello regionale, impropriamente, a chiudere altri buchi della finanza locale mentre altri progetti che erano state finanziati – ma non realizzati – secondo la Corte dei Conti – potranno andare a buon fine soltanto nel 2019 o addirittura nel 2023. Con un’opera di ingegneria finanziaria siamo riusciti a non perdere i fondi che dovevamo utilizzare nei sei anni che scadono appunto nel 2020. Purtroppo, uno dei fattori negativi è costituito dalla lentezza delle procedure burocratiche. Secondo l’Unità di Verifica degli Investimenti Pubblici, per
un’opera che costa tra i 5 e i 10 milioni di euro occorrono più di sette anni, ossia l’intera durata del bilancio comunitario. C’è poi la scarsa qualità di molte amministrazioni locali, all’ingorgo delle competenze ma anche destinando questi fondi ad obiettivi di popolarità immediata – a scopo elettorale – su quelli più lungimiranti. E’ il nodo della corruzione e del malaffare oltre a quello dei localismi che spesso costituiscono un enorme spreco di risorse. Si pensi ai tanti progetti rimasti sulla carta, benché finanziati, o a quelli abbandonati in corso d’opera, spesso a seguito di liti giudiziarie decennali. Ecco, se si vuole seriamente utilizzare questi fondi per investimenti produttivi o per migliorare la finanza statale, ebbene bisogna vigilare per far buon uso di queste possibilità che ci vengono offerte. Tra i primi paesi che hanno positivamente utilizzato questi fondi ci sono la Polonia che, pur avendo un contributo inferiore, ha speso 15,2 miliardi di euro mentre l’Italia – con un PIL molto più alto – è riuscita a riuscita a spendere nel periodo 2014-2020 solo 5,1 miliardi. Ciò fa comprendere perché l’Italia non riesce a stare alla pari con gli altri paesi UE, perché mentre l’UE ha accresciuto i tassi di crescita del PIL mediamente del 2,4% l’Italia sia rimasta al palo. A tener conto delle tortuose vicende di casa nostra, è probabile che neppure nei prossimi anni si potranno utilizzare questi fondi che alla fine vanno restituiti all’UE che li ridistribuisce poi agli altri paesi. Oltre al danno, dunque, anche l’amarezza per la pessima qualità del nostro sistema politico che spesso predilige scelte di natura assistenziale (come il reddito di cittadinanza) lasciando inutilizzate notevoli risorse che potrebbero servire alla ripresa economica mantenendo così l’economia in uno stato di perenne instabilità.
Ottobre 2018