CHE FINE HA FATTO IL RECOVERY FUND?
Come abbiamo scritto qualche mese fa, il nuovo governo Draghi si è assunto l’impegno di completare il Recovery Plan per la fine di questo mese, di portare il piano in Parlamento per farlo approvare e inviare per la metà del mese di aprile la bozza a Bruxelles in modo da poter depositare il piano nel termine ultimo del 30 aprile, così come previsto dagli accordi assunti in sede di Consiglio d’Europa. Il silenzio di queste ultime settimane può essere anche giustificato dalla intensa attività di governo nella battaglia contro la pandemia ma è strano che non se ne sia più parlato. In realtà, sappiamo che dietro le quinte ne hanno parlato il leader francese e italiano, come confermato anche dall’Eliseo, decisi a chiedere di aumentare la dotazione finanziaria del piano di rilancio europeo prevista in 750 mld. di euro, ma aspettando che arrivi la prima tranche, prima di lanciare la proposta in sede europea. “Draghi con l’appoggio di Macron pensa di rendere permanenti i titoli europei dopo che spirerà il Recovery Fund per avere un Tesoro capace di finanziare le politiche nazionali. Un passo questo che, insieme ad una Unione dei capitali e bancaria potrebbe rinforzare l’economia della zona Euro e la moneta comune sul palcoscenico globale” così scrive La Repubblica del 27.3 u.s.. Come dichiara in un’intervista il deputato europeo Sandro Gozi “quasi il 30% delle risorse previste sono destinate al nostro paese: il successo del piano europeo dipende dal successo italiano. Mai come questa volta l’Italia gioca per sé e per l’Europa”. Non a caso lo stesso Gentiloni sta martellando il nostro governo di rispettare i tempi per far arrivare a Bruxelles il Recovery Plan italiano anche se altri paesi dell’UE sono in ritardo o dimostrano di essere contrari a questo piano finanziario che per la prima volta si basa su un debito comune europeo e sull’emissione di obbligazioni garantite a livello europeo e di bond europei. “E’ la prima volta che l’Europa, per finanziare un grande programma di investimenti – continua Gozi – si rivolge ai mercati in quanto Europa, come soggetto integrato”. A partire dal 2028 questo debito e gli interessi dovranno essere ripagati attraverso nuove risorse proprio dall’Europa. “Se questo accade – conclude Gozi – quello che oggi è un piano straordinario potrà diventare l’embrione di quella nuova capacità fiscale europea assolutamente necessaria per dare all’Europa la capacità di azione economica e sociale che ci serve”. Un vero e proprio passo avanti sulla strada di un’Europa federale. Una prospettiva che non è vista affatto di buon occhio sia da quei paesi legati al mito della sovranità nazionale sia da quei paesi che temono di dover, con le loro risorse, finanziare i debiti dei paesi più deboli, come i paesi del Sud Europa con l’Italia in prima fila. Secondo le previsioni, per entrare in vigore, il Recovery Fund dev’essere approvato dai Parlamenti nazionali dei 27 paesi membri dell’UE. Al momento ne mancano ancora undici ed entro la fine di aprile tutti i paesi dovranno presentare i propri piani nazionali. Ma, è notizia di qualche giorno fa, che la Corte Suprema tedesca ha bloccato l’entrata in vigore della legge che pure è stata approvata con la maggioranza di oltre due terzi del Bundestag e all’unanimità dal Bundesrat. Una vera e propria doccia fredda sul destino del Recovery Fund. Il provvedimento della Corte tedesca ha congelato la firma del Presidente della Repubblica accogliendo il ricorso del fondatore del partito di estrema destra, l’AFD, secondo il quale il finanziamento è contro i Trattati e contro l’art. 311 che vieta esplicitamente all’UE di avere risorse proprie. Per capire meglio, un paese singolo può fermare una scelta autonoma della UE perché contraria ai Trattati.
Non a caso nella legge approvata dal Parlamento tedesco, la possibilità che l’UE si indebiti non è considerata “propria” ma “esterna”. Un modo per evitare appunto che la vicenda potesse cadere sotto la mannaia della Corte Suprema. Anche se il governo tedesco é abbastanza fiducioso nel rigetto del ricorso il problema sarà quello dei tempi. Lo ha confermato la Cancelliera Merkel. La Commissione UE ha fatto sapere di essere fiduciosa in una rapida decisione convinta della legalità della decisione presa dal governo tedesco. Ma la Corte ha già messo le mani avanti: l’obiettivo resta quello di un via libera entro la fine del secondo trimestre dell’anno facendo così saltare i tempi previsti per il pagamento della prima tranche. Non è la prima volta che la Corte interviene per bloccare un progetto di integrazione monetaria e finanziaria europea. A maggio 2020 i giudici tedeschi avevano chiesto alla BCE di giustificare la proporzionalità degli acquisti dei titoli di Stato effettuati in base al programma del “quantitative easing” mettendo in discussione sia l’indipendenza della BCE che il primato del diritto europeo su quello interno. Del resto non è un segreto che il Recovery Fund è uno strumento richiesto soprattutto dall’Italia, accettato con la garanzia offerta da Parigi e Berlino come non è un segreto che il Segretario di Stato francese agli affari europei, qualche settimana fa sia venuto in Italia per verificare lo stato dell’arte della nostra bozza del piano nazionale per cui non possiamo permetterci di perdere e neppure di pareggiare questa importante partita europea. Anche se il ritardo potrebbe essere fatale per il nostro paese che proprio su questi fondi confidava per alleggerire il pesante debito accumulato con i mercati finanziari a cui dovrebbe far ricorso per evitare una catastrofe economica. Ma, se questo è un problema per l’Italia, ebbene bisogna che anche l’UE riveda le sue prospettive di sviluppo per evitare di avere le mani legate soprattutto quando serve la massima autonomia per accelerare il processo di integrazione. Se non ci fosse modo di rispettare le decisioni dei paesi membri, ebbene è arrivato il momento di andare ad una riforma dei Trattati per rendere effettivamente l’Unione capace di avere una politica propria senza i condizionamenti dei paesi membri che faranno bene a modificare la propria legge fondamentale per consentire la nascita di un nuovo organismo federale.
Marzo 2021