ATTENTI AL GORILLA
Qualche giorno fa sul sito web del Comune di Opera (MI) è stata postata la foto di due agenti della polizia municipale dinanzi ad una cella dove c’era un uomo di colore – seppur a volto coperto – in stato di fermo arrestato dalla polizia locale, a seguito di segnalazione di alcuni cittadini che lamentavano la presenza di un individuo che infastidiva la gente nell’area del mercato comunale. Informazione del tutto lacunosa che, però, non giustificava la pubblicazione di quella foto, di un indiziato per reato, probabilmente lieve, che doveva ancora essere accertato. Insomma, ho avuto la netta sensazione di una informazione falsa e inopportuna. Anche se si fosse trattato di un reato grave, nulla giustificava la pubblicazione di una foto di un individuo pur indiziato di reato in violazione del suo diritto alla riservatezza. Segregato come una bestia in gabbia, guardato a vista da due agenti di polizia, quasi che si trattasse della cattura di un famigerato e pericoloso criminale. Ho provato vergogna per questo ennesimo atto di inciviltà ai danni, per giunta, di una persona fermata, a disposizione della giustizia. Vero è che, dopo numerose proteste di chi aveva avuto modo di vedere quella foto su internet, la foto è stata cancellata, anche se, diversamente dalla prima versione, il sindaco si è affrettato ad aggiungere che l’uomo avrebbe aggredito i due agenti. Ma anche se lo fosse, questo non è sufficiente a calpestare il suo diritto alla privacy, soprattutto perché in stato di detenzione. Voglio sperare che i due agenti, che nella foto mostrano con la loro baldanza la belva che avevano catturato, vadano a ripassare un po’ le norme di legge che stabiliscono il rispetto delle persone arrestate.
Purtroppo, “tali eccessi – come scrive l’ex procuratore di Torino Armando Spataro – sulle colonne de La Repubblica del 24 u.s. – nella comunicazione traggono origine del desiderio di acquisire titoli utili per fare carriera. Costituirebbe un grave errore – scrive ancora l’ex magistrato – non considerare che improprie modalità comunicative riguardano frequentemente anche i magistrati, in particolare i pubblici ministeri”, che spesso tentano di proporsi come i veri moralizzatori della società, presentando le proprie indagini con proclami del tipo: “si tratta della più importante indagine antimafia del secolo… così proponendosi come icone per le piazze plaudenti”. Più massiccia è l’operazione, più si arrestano persone in una sola notte, più cresce “l’autostima” del PM di turno -. A nulla valgono le indicazioni di massima provenienti dai vertici della Magistratura italiana di utilizzare il carcere solo come misura estrema. “Certo basta evocare il potere mafioso per mettere a tacere tutte le critiche”. Ormai, la cronaca giudiziaria, grazie anche all’opera massiccia di una certa parte politica che vuole velocizzare il corso della giustizia, finisce per fare i processi in piazza, prima ancora che i fatti siano accertati nel corso del processo.
“Chi critica simili costruzioni – scrive ancora il dott. Spataro – viene subito accusato di voler isolare i magistrati, negare la verità e temere i poteri forti”…Dimenticando che il rispetto del giusto processo dei diritti della difesa è raccomandato dalla CEDU”.
E’ un tema questo che andrebbe affrontato anche dal legislatore che si prepara a varare nuove norme processuali, limitando l’amplificazione fuori ogni regola, dell’informazione giudiziaria e soprattutto imponendo ai PM di non fornire interviste o servirsi di altri strumenti informatici come può essere la conferenza stampa. Non si tratta di novità in quanto i capi della Magistratura hanno già da tempo raccomandato che le comunicazioni vadano fatte dal Capo dell’Ufficio che indaga e non specificamente dal singolo magistrato che ha condotto l’indagine, proprio per spersonalizzare l’informazione.