ALLA CONQUISTA DELL’ARTICO
E’ ormai certo che i cambiamenti climatici avranno ripercussioni non solo sull’ambiente ma anche sulla politica mondiale e la regione artica ne è un esempio. Quello che una volta poteva essere considerato un continente inospitale, coperto di ghiacci eterni, si trova oggi al centro di trasformazioni epocali. Il riscaldamento del grande Nord è doppio rispetto al resto della Terra. Lo scioglimento dei ghiacci ha scatenato, già da anni, la contesa per la conquista dell’unica area geografica che fino ad oggi non era stata coinvolta dallo sfruttamento delle sue risorse che, tradotta in termini monetari, sono pari al valore dell’intera economia USA. Questo spiega perché gli appetiti dei grandi Stati si stanno facendo sempre più evidenti. Con lo scioglimento dei ghiacci si apriranno nuove rotte mercantili per cui è prevedibile che assisteremo a una spietata concorrenza che metterà in crisi tutto l’ecosistema di questa regione. In particolare rischiano l’estinzione in massa non solo i nativi, gli inuit, ma anche rischiano di scomparire per sempre razze animali come gli orsi polari che già cominciano ad avere difficoltà a trovare il cibo, anche a causa dello sconvolgimento delle stagioni. Senza dimenticare che lo scioglimento dei ghiacci eterni, se da una parte aprirà nuove rotte, dall’altra parte determinerà anche l’innalzamento delle acque degli oceani per cui già in questo secolo alcune città costiere rischieranno di scomparire sotto l’acqua. Ma queste previsioni sembrano non interessare alle grandi potenze che già stanno cercando di trovare accordi per lo sfruttamento delle immense risorse che nascondono i fondali artici. La Cina, anche se in ritardo rispetto agli altri Stati artici, sta cercando di non restare fuori da questo grande “business”. Nei fondali artici si trovano importanti giacimenti di gas, che costituiscono circa il 30% delle riserve mondiali mentre le riserve di petrolio costituiscono circa il 13% delle riserve globali. Solo nei fondali artici, che fanno parte del territorio russo, i combustibili fossili ammontano a circa il 20% del PIL russo. Più precisamente, nei fondali dell’Artico russo giacciono circa 430 milioni di tonnellate di petrolio e 8,5 trilioni di mc. di gas naturale. Questo spiega perché la Russia abbia richiesto la estensione della zona economica esclusiva (ZEE) pari ad un’area di 1,2 milioni di Kmq. La Cina, proprio perché non ha alcuna possibilità di far parte del clan dei paesi artici è decisa a chiedere la internazionalizzazione dell’intera regione. Il premier cinese ha pubblicamente dichiarato di voler coinvolgere il partner russo nei progetti cinesi al fine di facilitare lo sviluppo economico e sociale della regione artica e a tal proposito ha già stretto numerosi accordi con gli altri “Stati artici”.
Essendo l’Artico ricco di fonti energetiche rinnovabili, intende promuovere la cooperazione internazionale anche in materia di energia pulita. Ma il motivo per cui Mosca si oppone alla presenza di Stati non artici nell’area è di natura militare. Infatti non solo gran parte dei missili balistici sottomarini è collocata nella penisola di Kola –proprio all’interno del Circolo Polare Artico – ma sta procedendo alla realizzazione di nuovi sistemi difensivi che vanno ad aggiungersi a quelli già presenti nella zona artica. Sotto il profilo normativo, va ricordato che la Convenzione dell’ONU sul Diritto del Mare consente di dichiarare una zona economica esclusiva (ZEE) di 200 miglia dove lo Stato Artico può rivendicare il diritto esclusivo di sfruttamento delle risorse della superficie e del fondale marino.
La Russia afferma di avere ormai sufficienti prove da sottoporre alla Commissione delle NU per supportare le proprie richieste ma la disputa è ancora aperta. Va detto che Mosca sa bene che l’unica possibilità di mandare avanti i propri progetti artici dipende dai finanziamenti cinesi per cui non si è opposta all’ingresso della Cina nel Consiglio Artico – che comprende non solo i paesi artici ma anche altri paesi – compresa l’Italia. Il Consiglio costituisce la principale organizzazione intergovernativa per promuovere la cooperazione tra Stati artici, le comunità indigene sui temi dello sviluppo sostenibile e della tutela ambientale della regione. Una prospettiva che si scontra con gli appetiti politici ed economici di altri Stati anche perché molte strategie economiche che prima non erano convenienti, stanno divenendo sempre più percorribili dalle grandi potenze e questo spiega anche l’atteggiamento ambiguo della Russia che non ha tagliato fuori la Cina dalla regione. Gli interessi economici di questi paesi tendono a mettere in ombra gli enormi problemi che si troveranno ad affrontare con uno sfruttamento estensivo delle risorse dell’Artico. Uno sfruttamento che potrebbe di fatto accelerare l’inquinamento territoriale e marittimo con conseguenze disastrose per l’ecosistema mondiale per cui nei prossimi anni ci sarà uno scontro sempre più acceso tra l’ecologia e il sistema economico. La Cina punta ad espandere nel grande Nord le sue ambizioni mondiali; USA ed Europa fronteggiano il disegno neo imperiale di Mosca che considera l’Artico il mare nostrum russo. Un conflitto qui oggi appare più realistico di quello ai tempi della guerra fredda. In questo nuovo secolo bisogna chiedersi dunque se i popoli della Terra sono disposti ad accettare questo scontro che potrebbe di fatto portare ad una catastrofe militare, se non nucleare.