ACHTUNG BANDITEN!
Dopo il devastante bombardamento su Beirut nel quale è rimasto ucciso il capo di Hezbollah, Israele sta combattendo contemporaneamente su sei fronti: Gaza, Libano, Yemen, Siria, Iran, Iraq – e sette se si aggiungono i territori occupati della Cisgiordania. Uno scenario questo che ricorda la prima guerra del 1948 che portò alla nascita dello Stato di Israele.
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Galvanizzato dall’uccisione del leader di Hezbollah, forte della copertura USA e con il recupero del consenso interno, Netanyahu non fa mistero del suo disegno più ambiziosi di quanto si possa immaginare. L’obiettivo è quello di colpire l’Iran e lo fa rivolgendosi alla popolazione iraniana con un messaggio trasmesso anche via TV. “Non c’è alcun luogo nel Medioriente che Israele non possa raggiungere. Quando l’Iran sarà finalmente libero, e quel momento arriverà molto prima di quanto si possa pensare, tutto sarà diverso“.
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Per vendicare l’uccisione di Nasrallah, capo supremo degli Hezbollah, Teheran ha lanciato 180 missili balistici contro lo Stato ebraico. Il premier israeliano ha gridato subito vendetta. “Siamo nel mezzo di una dura guerra contro l’asse del male che cerca di distruggerci ma questo non accadrà. Vinceremo perché saremo insieme, e con l’aiuto di Dio“. Ma soprattutto con quello degli USA perché Biden ha lasciato mano libera all’esercito israeliano chiedendo solo di non attaccare i siti nucleari, e confermato di appoggiare le operazioni di terra nel Sud del Libano (purché restino limitate e localizzate sulla distruzione delle postazioni di Hezbollah).
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Netanyahu mira a costruire un “nuovo ordine” nella regione e quindi si prepara a smantellare l’asse della resistenza dell’Iran. Ma se la strategia israeliana appare sempre più chiara, meno lo è il comportamento degli Stati arabi della regione. “L’aggressività con la quale il governo di Tel Aviv sta perseguendo i suoi obiettivi, lasciando alle spalle una lunga scia di morte e distruzioni, costringe alcuni tra i principali attori dell’area all’impossibilità di perseguire la strada precedente, tanto quanto prenderne una nuova” scrive La Stampa del primo ottobre.
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Sempre il quotidiano La Stampa scrive “L’Arabia Saudita è costretta a frenare lo sviluppo dei rapporti politici ed economici con Israele, subordinato alla necessaria creazione di uno Stato palestinese quale premessa di qualsivoglia accordo. L’escalation potrebbe minacciare i loro ambiziosi piani di sviluppo con possibili attacchi iraniani dello stretto di Hormuz e ai propri impianti petroliferi“.
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La Cisgiordania, con una maggioranza di popolazione palestinese, fatica a mantenere i rapporti storici con Israele dopo la normalizzazione del 1994, per non parlare dell’Egitto che teme il rischio che le operazioni militari israeliane possano spingere più di un milione di palestinesi nella penisola del Sinai. Un simile esodo trasformerebbe potenzialmente la penisola in un punto di partenza per attacchi palestinesi contro Israele. Una situazione che trascinerebbe praticamente il Cairo, suo malgrado, nel conflitto.
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Ancora, è da mesi che le piazze arabe sono in fibrillazione, tanto quelle del Cairo quanto quelle turche di Ankara, da dove Erdogan tuona contro il governo di Tel Aviv e la sua guerra a Gaza incrementando così l’instabilità della regione mediorientale. La Siria, devastata da anni di guerra civile, e l’Iraq, mai ripresosi dall’invasione americana del 2003, sono finiti triturati dalla contrapposizione con l’Occidente.
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Un nuovo ordine regionale potrebbe essere accolto con sollievo anche se ogni azione israeliana contro la Repubblica islamica dell’Iran rischia di coinvolgere direttamente tutti i paesi arabi con conseguenze imprevedibili. Qualsiasi strada intraprenda quindi Netanyahu avrà conseguenze pesantissime non solo per il Medioriente ma anche per gli altri attori della scena politica mondiale, che non staranno certo alla finestra ad aspettare che il macellaio sionista realizzi i suoi sogni di grande potenza regionale. Lo spazio di manovra di Netanyahu è sempre più stretto e quindi la sua fuga in avanti metterebbe tutti di fronte al fatto compiuto accelerando però la sua fine politica.
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Una soluzione diplomatica alla crisi mediorientale è ancora possibile. Netanyahu è andato oltre quanto ci si aspettava, con un’operazione militare che va avanti da un anno. Per la quale si trova a fare i conti con il diritto internazionale, in quanto i paesi europei ribadiscono la necessità della creazione di due Stati, onde per cui il suo attacco a Teheran potrebbe alienargli l’appoggio che fino ad ora ha ricevuto dall’Occidente.
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È difficile che questo accada in quanto Netanyahu sta intensificando gli attacchi nel Libano dove nel raid di venerdì è morto il successore di Nasrallah. L’attacco all’Iran appare dunque imminente. Gli aerei israeliani potranno anche colpire i siti nucleari oppure incendiare la colossale cisterna di greggio che alimenta le esportazioni clandestine. E tutto questo sotto gli occhi dell’Europa che resta a guardare. Sembra proprio che non ci sia più alcun limite per la follia di questo popolo. L’Olocausto che ci sta preparando sarà l’anteprima di un nuovo macello mondiale che segnerà la fine per tutti, vincitori e vinti. Un brutto presagio per chi sopravviverà al disastro finale.
Ottobre 2024
Avv. Eugenio Oropallo