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LA CONSULTA SI PRONUNCIA SUL SUICIDIO ASSISTITO

Dopo mesi di tempo che la Corte aveva concesso al Parlamento per legiferare, la Corte Costituzionale è intervenuta a fare chiarezza. Lo aveva già anticipato quando aveva invitato il legislatore ad intervenire: il verdetto emesso era dunque largamente prevedibile. All’unanimità la Corte ha ritenuto non punibile, ai sensi art. 580 c.p. “a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. E’ il riconoscimento del diritto dell’individuo di chiedere di morire, richiedendo l’aiuto di chi lo assiste. Adesso è troppo presto per esprimersi sul valore storico di questa sentenza, evidenziando che la Corte Costituzionale subordina la possibilità di ricorrere al suicidio assistito alla verifica della “irreversibilità della patologia e alla natura intollerabile delle sofferenze”. Sembra che i limiti siano ben specificati ma nessuno si illuda che nel passaggio successivo al Parlamento tutto finirà liscio. La Conferenza Episcopale italiana si è detta preoccupata perché si corre il rischio di disseminare “la cultura della morte”. Il Cardinale Becciu, stretto collaboratore del Papa Francesco, ha ribadito che “la Chiesa sta sempre dalla parte dei malati, di coloro che soffrono. I nostri valori sono quelli della prossimità e dell’accompagnamento; spetterà adesso al Parlamento tutelare quei valori”. Mi spiace dirlo ma credo che la Chiesa, mentre è capace spesso di capire i grandi fenomeni di questa nostra epoca tormentata, intervenendo a favore dei migranti o per la difesa del nostro pianeta, per questo aspetto continua a difendere la vita, definita come dono divino, senza riuscire a comprendere che chi soffre ha tutto il diritto di mettere fine alle sue sofferenze, per questo finisce per creare sensi di colpa soprattutto al credente che dovrà scegliere tra il rispetto del suo credo religioso e la sua decisione di mettere fine alla sua vita. E’ questo che vuole il Vaticano? Faremo un’altra guerra tra cattolici e non credenti come avvenne all’epoca della legge sull’aborto? Non a caso il porporato ha richiesto che sia riconosciuto ai medici “l’obiezione di coscienza”, come avvenne con la legge sull’aborto. Vorrei ricordare che con scarso senso morale, molti medici che lavoravano nel settore pubblico si rifiutavano di intervenire per interrompere la gravidanza ma nei loro studi privati si facevano pagare laute parcelle per procedere all’aborto. Credo che, anche i medici cattolici, siano convinti dell’opportunità di aiutare chi si trova in condizioni estreme ma, proprio per evitare abusi, è opportuno che si lasci da parte ogni “obiezione di coscienza” ricordando che un grande medico che ha dedicato la sua vita per vincere la battaglia contro il tumore al seno, parlo di Umberto Veronesi, come ricordato in un mio precedente articolo così scriveva “E’ questo diritto che voglio difendere nell’ambito di quel concetto omnicomprensivo che è il diritto di ogni uomo all’autodeterminazione, cioè il diritto di libertà”. Crediamo, dunque, che il legislatore, richiamando il verdetto della Corte Costituzionale, sappia fare una buona legge civile, condivisa da credenti e non credenti.

Settembre 2019

La consulta si pronuncia sul suicidio assistito

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