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CASS. CIV. sent. n. 3716/08 del 14.2.2008 Uno dei punti di frizione tra la normat.va italiana e quella della CEDU è costituito dall’art. 2 comma 3 (lett. a) della l. 89/2001 nella parte sull’indennizzo da liquidare

CASS. CIV. sent. n. 3716/08 del 14.2.2008

Uno dei punti di frizione tra la normativa italiana e quella della CEDU è costituito dall’art. 2 comma 3 (lett. a) della l. 89/2001 nella parte in cui si prevede che l’indennizzo da liquidare alla parte sia commisurato non alla durata dell’intero processo, bensì al solo segmento temporale eccedente la durata ragionevole (tre anni per il primo grado, due per l’appello, uno per il giudizio di legittimità). Recente sentenza della Corte di Cassazione – la n. 3716/2008 – ribadendo il precedente orientamento già espresso dalla Cassazione (cfr. sent. n. 8603/05) ha escluso la incompatibilità della legislazione vigente con la norma pattizia internazionale, ritenendo che “…il criterio sancito con riferimento al tempo ragionevole ed ordinario di durata non esclude la complessiva attitudine della l. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte Europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso 36813/87, e non si pone, quindi in contrasto con l’art. 6 § 1 della CEDU”.

Più recentemente, in altra sentenza (Cass. n. 10415 del 6.5.2009) la Corte “…non ravvisa alcuna violazione dell’art. 117, 1° comma Cost., in riferimento alla compatibilità con gli impegni internazionali assunti dall’Italia mediante la ratifica della Convenzione ..potendo profilarsi il contrasto dell’interpretazione delle norme CEDU con altri diritti costituzionalmente tutelati”.

Riservandoci di valutare più approfonditamente il principio sopra esposto, la soluzione non è del tutto convincente, anche alla luce della giurisprudenza della Corte Europea sul carattere di sussidiarietà della giurisdizione nazionale rispetto a quella europea nel senso che la prima deve, per quanto possibile, interpretare e applicare il diritto nazionale conformemente alla Convenzione.

Proprio in relazione all’assolvimento del dovere di cooperazione appena menzionato, la Corte Europea in altra decisione del 10.11.2004 (ricorso n. 62361/00) e relativa ai ritardi della giustizia italiana, ha determinato che l’equa soddisfazione per il danno non patrimoniale “subito a causa del procedimento va compreso in un importo tra euro 1.000,00 ed € 1.500,00 per anno del procedimento elevabile ad € 2.000,00 se la posta in gioco è considerevole…”.

A nostro avviso, la norma pattizia – attraverso il riconoscimento operato dal Governo Italiano – assume una posizione di grado superiore a quello della norma ordinaria che deve quindi adeguarsi al principio ermeneutico espresso dalla CEDU. Diversamente, il

problema che si intendeva risolvere non è affatto risolto in quanto, una volta esaurita la fase innanzi alla giurisdizione interna, si può senz’altro ricorrere alla Corte Europea che farà uso dei criteri sopra richiamati.
C’è da aggiungere, per quel che riguarda la esperienza di tutti i giorni, che – le Corti italiane sono orientate – pur con qualche rara eccezione – a liquidare importi anche inferiori a quelli fissati dalla CEDU e sempre esclusivamente per il periodo eccedente la durata ragionevole del processo. Il fatto è che nel panorama giudiziario italiano ancora è diffusa una certa resistenza alla applicazione della norma internazionale recepita dal diritto interno per cui, per eliminare il conflitto, non vi è altra alternativa che modificare la norma interna adeguandola ai principi ermeneutici richiamati e applicati dalla CEDU.

Scheda a cura dell’avv. Eugenio Oropallo – maggio 2009

CASS. CIV. sent. n. 3716.08 del 14.2.2008

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