Nota a sentenza dicembre 2010 – Codice Della Strada
Successione di norme penali e depenalizzazione dei reati con particolare riferimento alle recenti modifiche del Codice della Strada.
Le numerose modifiche intervenute negli ultimi anni apportate al testo del Codice della Strada, volte principalmente a porre un serio argine al fenomeno del c.d. drive drinking, hanno dato spazio, come è facilmente intuibile, ad una serie di questioni interpretative, che vanno dalla natura giuridica della confisca del mezzo all’effettivo ambito di applicazione delle norme incriminatrici, fino ad involgere i principi generali sui quali si poggia l’intero sistema del diritto penale italiano, quali la successione di nome penali nel tempo. Con il presente contributo ci si soffermerà in particolare sulla modifica apportata dalla recentissima legge di riforma del codice della strada, 29 luglio 2010, n. 120, all’art. 186, D.Lgs. 30 aprile 1992, n.285. Come è noto, il testo ante riforma della norma richiamata (introdotto con il d.l. 3 agosto 2007, n. 117, conv. in l. 2 ottobre 2007, n. 160) prevedeva tre fattispecie autonome di reato, rispettivamente, al co. 2, lett. a), b) e c). La Corte di Cassazione, infatti, chiamata a chiarire se l’art. 186, cit. prevedesse tre fattispecie autonome di reato ovvero un’unica fattispecie circostanziata, ha accolto la prima delle opzioni ermeneutiche prospettate, motivando il proprio convincimento, in particolare, sulla base del fatto che tra le disposizioni che le prevedono non intercorre alcun rapporto di specialità che consenta di considerare alcune delle ipotesi come mere circostanze aggravanti delle altre.
Ciò posto in linea generale, ed avvicinandoci velocemente alla questione sulla quale si intende concentrare l’attenzione, l’art. 186, co. 2, lett.a), come da ultimo modificato, dispone che “Chiunque guida in stato di ebbrezza è punito, ove il fatto non costituisca più grave reato: a) con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 2.000, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l). All’accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi”.
Come emerge immediatamente dalla lettura della norma, occorre affermare che la fattispecie in esame ha subito una depenalizzazione, di conseguenza, a partire dall’entrata in vigore del nuovo testo del Codice della Strada, coloro che, fermati dagli organi accertatori, si siano posti alla guida in lieve stato di ebbrezza alcoolica, quindi con un valore di tasso alcoolico nel sangue superiore a 0.5 ed inferiore a 0.8 g/l saranno soggetti alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro compresa fra i 500, 00 ed i 2000, 00 euro, oltre alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente da tre a sei mesi. La stessa sanzione potrà trovare applicazione ogniqualvolta non si sia proceduto ad alcun accertamento tecnico, ma lo stato di alterazione risulti provato dalle sole dichiarazioni degli agenti relative ai sintomi dell’ebbrezza. Se nessun dubbio interpretativo emerge con riferimento alla disciplina applicabile pro futuro, tutt’altro che scontati sono gli approdi ermeneutici con riferimento a quelle condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore della novella ( quando, quindi, la condotta costituiva illecito penale), ma giunte sub iudice e decise posteriormente.
In tali casi dovrà ritenersi operante il principio di irretroattività dell’illecito amministrativo ai sensi dell’art. 1, l. 689/1981, richiamato dall’art. 194 CdS oppure, come ritiene chi scrive, dovrà procedersi alla trasmissione degli atti all’autorità amministrativa in quanto l’operazione legislativa in questione non ha fatto che porre in essere una modificazione di norme, tale per cui dovrà semplicemente trovare applicazione la disciplina più favorevole all’agente?
La giurisprudenza di legittimità, con riferimento alla specifica ipotesi della depenalizzazione della fattispecie di cui all’art. 186, co. 2, lett. a), CdS, ha avuto modo di pronunciarsi di recente con la sentenza 3 novembre 2010, n. 38692. Con la decisione richiamata, infatti, la Suprema Corte, riagganciandosi a quanto autorevolmente sostenuto dal Supremo Consesso nella sua massima composizione nella sentenza 14 marzo 1994, n. 739, afferma che la trasformazione dell’illecito penale in illecito amministrativo ha comportato, da un lato, l’ abolitio criminis dell’illecito penale, dall’altro ha introdotto un nuovo illecito amministrativo. Da ciò se ne ricava, secondo l’orientamento patrocinato dalla sentenza in commento, che nel caso in cui il giudice penale ad oggi debba decidere una questione relativa alla condotta di cui all’art. 186, co. 2 lett a), posta in essere antecedentemente all’entrata in vigore della l. 120/2010, dovrà emettere sentenza di proscioglimento perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, senza possibilità di trasmettere gli atti all’autorità amministrativa, in quanto, come si è detto, deve ritenersi operante il principio di irretroattività operante sia per gli illeciti penali ai sensi dell’art. 2 cp. sia per gli illeciti amministrativi, ai sensi dell’art. 1, l. 689/1981, richiamato dall’art. 194 CdS, a meno che la nuova legge non preveda una esplicita disciplina transitoria ( cosa che non è avvenuta nel caso di specie).
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