La traduzione del decreto di espulsione non basta per garantire il diritto alla partenza “volontaria”.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 28158/17 del 24.11 u.s. in quanto il decreto di espulsione, pur tradotto nella lingua ufficiale dello Stato di appartenenza del cittadino extracomunitario, non garantisce la conoscibilità di quanto previsto dall’art. 15 c. 5.1 ossia la facoltà per il cittadino di poter lasciare spontaneamente il territorio dello Stato entro uno specifico termine. La Suprema Corte, nel caso esaminato, ha ritenuto violato il diritto di opzione riconosciuto dall’art. 15 comma 5.1 d.lgs. n. 286/1998 che prevede che lo straniero abbia la facoltà di richiedere “un termine per la partenza volontaria, mediante schede informative plurilingue”. Insomma l’interessato non è stato messo in grado di esercitare in concreto un proprio diritto che è stato violato dalla mancata informativa che gli doveva essere fornita.
Fonte
D&G 27.11.2017
Nota a cura avv. E. Oropallo
La traduzione del decreto di espulsione non basta per garantire il diritto alla partenza volontaria.