NUOVE MODIFICHE della LEGGE PINTO
Come se non fosse bastata l’ultima modifica della legge Pinto (l. 134/12), oggi è intervenuta anche la legge di stabilità a rendere più difficile il percorso per ottenere un indennizzo per l’indebita durata del processo. L’obiettivo del Governo infatti non è quello di utilizzare le risorse per ridurre i tempi dei processi e mettersi al passo con l’Europa ma quello di ridurre i costi. Rispetto alle norme attuali che prevedono un indennizzo da 500 a 1.500 Euro per ogni anno di ritardo, si passa da un minimo di 400 ad un massimo di 800 Euro ma vi può essere un’ulteriore decurtazione del 20% se le parti nel processo sono più di 10 o del 50% se sono più di 50. Senza tener conto che la Corte EDU ha indicato parametri diversi e superiori la cui applicazione era ritenuta ormai recepita anche dalle Corti nazionali. E qui v’è il rischio di andare ad ingolfare di nuovo il lavoro della CEDU nel caso di un indennizzo ritenuto insoddisfacente. Ma altri paletti sono posti dalla legge di stabilità. L’art. 1 bis e 2 stabilisce che chi, pur avendo esperito i rimedi preventivi di cui all’art. 1 ter – ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell’irragionevole durata del processo – ha diritto ad un’equa riparazione. Quali siano questi “rimedi preventivi” lo chiarisce l’articolo successivo. Si tratta dell’avvio dell’azione nelle forme del procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702 – bis e seguenti cpc. Ancora, è considerato rimedio preventivo la richiesta di passaggio dal rito ordinario a quello sommario ai sensi art. 183 bis cpc mentre nelle cause in cui non si applica il rito sommario, compresi i giudizi in appello, costituisce “rimedio preventivo” la presentazione di istanza di decisione a seguito di trattazione orale ai sensi art. 281 sexies cpc, sia quando l’appello prevede un giudice monocratico, sia quando il Tribunale giudica in composizione collegiale. Insomma vi sono due categorie di cittadini: una prima che ricorrendo a questi rimedi preventivi potrà domani vedersi liquidato un indennizzo mentre altri cittadini che hanno scelto la forma ordinaria del processo non hanno alcuna possibilità di avvalersi della Legge Pinto. In effetti l’art. 2 – così come modificato – prevede l’inammissibilità della domanda per l’equa riparazione nel caso in cui il soggetto non abbia esperito i rimedi preventivi previsti dall’art. 1 ter. Come è stato giustamente osservato, per quanto riguarda il processo civile, paradossalmente si chiede al cittadino di rinunciare al rito ordinario se vuole garantirsi la possibilità di chiedere eventualmente il risarcimento del danno in base alla legge Pinto. Un vero e proprio attacco al diritto di difesa perché come ha osservato l’avv. De Stefano questo vuol dire “castrare l’istruttoria in quanto l’abbandono del rito ordinario per il rito sommario comporta l’impossibilità di portare nuove prove, esponendo l’avvocato ad una azione di responsabilità allorquando la causa avrebbe richiesto una piena e compiuta istruttoria”. Tutto ciò è davvero aberrante in quanto se la legge nazionale prevede di poter utilizzare il rito ordinario, non si può penalizzare chi intende farne uso. Insomma, da una parte continueremo ad avere una giustizia lumaca ma dall’altra avremo una nuova e illegittima limitazione del diritto riconosciuto sulla carta al cittadino di richiedere un indennizzo per la durata del processo. E’ evidente come l’avvocatura non possa accettare questa scelta che penalizza pesantemente l’accesso alla giustizia, ponendo seri problemi anche sotto il profilo costituzionale e nel rapporto con le altre Corti europee, in primis con la Corte EDU. Speriamo che ci sia qualche giudice disposto a proporre un quesito alla Corte Costituzionale per esaminare la legittimità di questa norma. L’ultima sorpresa la riserva l’art. 5 sexies. Il comma 6 prevede che l’erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili, mentre i punti 1) 2) 3) pongono a carico dell’avente diritto ulteriori passaggi che vengono ad allungare i tempi di pagamento, al termine dei quali l’amministrazione ha ancora 6 mesi di tempo per procedere ai pagamenti, sempre che sia completa la documentazione pervenuta all’ente (comma 5) per cui solo a scadenza di questo ulteriore termine gli aventi diritto finalmente potranno procedere agli atti esecutivi o proporre ricorso per l’ottemperanza del provvedimento, con ulteriore allungamento dei termini. Tengasi conto che la Corte EDU ha sanzionato l’Italia numerose volte anche per i ritardi accumulati nei pagamenti. Alla luce delle modifiche introdotte, anche quest’ultima chance verrà a mancare o ad essere praticata scarsamente. Insomma il quadro è completo: si continuano a limitare i diritti dei cittadini, in quanto lo Stato è incapace di riformare un sistema giudiziario che da molti anni è lo specchio dell’arretratezza culturale e politica di questo paese.
Febbraio 2016
(Avv. E. Oropallo)