PROGETTO STRASBURGO 2
Già Presidente del Tribunale di Torino, dove è riuscito ad eliminare buona parte dell’arretrato civile, ed oggi Capo Dipartimento al Ministero di Giustizia, il dott. Barbuto lamenta che le scadenze indicate nel progetto Strasburgo 2 non sono state rispettate dal CSM per cui solo con la delibera di giugno scorso il progetto è diventato operativo. Ricordiamo che il progetto prevede una rapida soluzione dei procedimenti giudiziari risalenti all’inizio del 2000, ed ancora in corso, per bloccare la voragine dei risarcimenti richiesti per l’indebita durata del processo. Precisa infatti il dott. Barbuto che le pendenze ultratriennali, quelle più rischiose ai fini dei rimborsi, non diminuiscono, bensì aumentano. Anche se aggiunge in una sua ultima intervista che l’ arretrato complessivo è sceso nell’ultimo anno da 5,2 a 4,5 milioni di affari. Questo anche perché sono stati esclusi da quell’arretrato procedimenti – come le tutele – che non potevano far parte del contenzioso giudiziario vero e proprio. Ricordando infine come “manifestamente irragionevole, ai sensi art. 111 della Costituzione, che a fine 2015 in Italia restino ancora pendenti cause contenziose che hanno una vetustà superiore a 15 anni, alcune delle quali risalgono anche agli anni 70 e 80…”. L’obiettivo è dunque quello di ridurre in maniera drastica le cause a rischio di risarcimento per eccessiva durata dei giudizi costate finora circa 750 milioni di euro. Per velocizzare i procedimenti, in una bozza di circolare indica una serie di misure che i capi degli uffici potranno adottare, che vanno dalla valorizzazione del ruolo del giudice nella direzione del procedimento, all’esclusione dei rinvii immotivati, alla previsione della trattazione orale. Misure che l’avvocatura potrebbe senz’altro appoggiare anche se va detto che esiste una certa resistenza sistematica all’applicazione di queste misure. Senza contare che spesso, anche fissando le udienze a scadenza fissa, si finisce poi per arrivare sempre al collo dell’imbuto: quello della fase di precisazione delle conclusioni e di discussione che spesso viene fissata, una volta terminata la fase di trattazione ad una data successiva che va dai 2 ai 5 anni!! Segno evidente o che i magistrati lavorano poco (accusa che ritengo ingenerosa nella maggior parte dei casi), anche se in diversi Tribunali e Corti d’Appello si continua a lavorare a singhiozzo, destinando solo alcuni giorni alla trattazione delle cause. C’è da aggiungere che ormai da tempo, per non sottrarre tempo al Magistrato, l’istruttoria della causa viene affidata al GOT mentre la sentenza viene sottoscritta dal Giudice tutelare della causa. A nostro modesto avviso, questo sistema finisce per rendere ancora più delicato l’esercizio della giurisdizione perché per una fase delicata del giudizio – come quello della formazione della prova- il Giudice della causa rimane fuori con grave compromissione del principio costituzionale del Giudice naturale. L’alternativa potrebbe essere quella o di un robusto rafforzamento dell’organico o di assegnare le cause ai Giudici onorari che possano seguire tutto l’iter processuale fino alla decisione. Sempre nel documento richiamato si invitano anche i capi degli uffici a darsi un termine di 4 mesi per lo smaltimento dei procedimenti civili iscritti a ruolo fino al 2000 e pendenti presso Tribunali e Corti d’Appello e 8 mesi per lo smaltimento delle cause iscritte negli anni 2001-2005. Anche se, come ricorda il Presidente Barbuto, la velocità della sentenza non va sempre a danno della qualità, è vero altresì che in molti casi – i procedimenti passati in questi anni di mano in mano – vengono decisi con una scarsa conoscenza del merito e definiti in maniera affrettata così da rendere probabile un eventuale ricorso in Cassazione. In definitiva, anche se va appoggiato questo nuovo corso che tende a svecchiare il sistema processuale civile, non si possono nascondere le ombre, determinate anche da una mancanza di risorse sia umane che di mezzi. Tra l’altro la CEDU non perde occasione per ricordarci come l’Italia sia, tra i paesi aderenti alla Convenzione, quello che contribuisce fortemente al contenzioso della Corte, soprattutto per il mancato rispetto del principio del giusto processo ex art. 6 della Convenzione.
Cesena lì 12.10.2015
(Avv. E. Oropallo)