CRISI ECONOMICA E DIRITTO ALLO STUDIO
Non bastava la pandemia a colpire duramente il sistema sanitario. Anche le nostre Università sono state svuotate dall’aumento dei prezzi degli alloggi nelle città universitarie del Nord dove più forte è la richiesta di posti letto. Centomila fuori sede in meno e matricole calate del 3%. Molti studenti sono stati costretti a rinunziare al sogno di conseguire una laurea o sono costretti a fare 2-3 lavori per pagare l’affitto di casa. A ciò si aggiunge che i privati preferiscono cedere il loro alloggio ai turisti più che agli studenti. Su 1,7 milioni di studenti universitari, poco meno di un terzo studia lontano da casa – come scrive La Repubblica del 3 u.s. ma nel 2018 erano centomila in più.
La flessione delle matricole nell’anno accademico 2021-2022 ha fatto registrare un calo del 3% degli iscritti del primo anno. Gli studentati universitari possono offrire un alloggio ad appena 40mila studenti, mentre il PNRR prevede di portare l’offerta a 10mila posti nel 2026. C’è dunque una larga fetta di studenti che sono stati respinti per l’impossibilità delle famiglie di potersi far carico di questi costi troppo gravosi per i bilanci. Troppo poche e troppo basse anche le borse di studio. Purtroppo nel nostro paese il vero problema è quello della mancanza di un’alternativa pubblica che in questo modo finisce col tenere le porte aperte solo ad una minoranza di studenti che, per ceto e reddito familiare, possono sostenere questi costi: per cui la prossima battaglia di classe si combatterà ancora una volta nelle Università, come avvenne negli anni della contestazione studentesca.
Solo che negli anni ’60 l’economia marciava a pieno ritmo per cui il potere politico poté frenare questa ribellione incanalandola, in larga parte, nella battaglia per la riforma dell’Università. Oggi questa possibilità non esiste per cui ci si deve aspettare una ripresa delle lotte studentesche, visto che la crisi galoppante non consente a chi governa -che sia un governo di destra o di sinistra- di mettere a disposizione risorse per consentire un accesso allo studio superiore a coloro che aspirano a conseguire un attestato di studi superiori per poter raggiungere livelli professionali più alti. È che ormai siamo in coda agli standard europei: solo il 21% della popolazione in Italia è laureata, 13 punti sotto la media UE. Si abbassa così il livello della conoscenza e del sapere mentre il paese è costretto da attingere all’offerta estera per colmare i vuoti nei propri istituti di ricerca e nell’industria. Mancano fondi per aumentare la disponibilità di posti e rendere effettivo il diritto allo studio, come prevede la nostra Costituzione, mentre si sprecano miliardi di euro per sostenere l’Ucraina nella difesa del territorio.
Anzi, la guerra in corso porterà ad un aumento delle spese militari: l’ex Ministro della Difesa Guerrini nel luglio scorso annunciava che l’Italia avrebbe inviato in Ucraina altre forniture militari del valore di un miliardo e 200 milioni. La spesa militare per il 2022 è pari fino ad oggi a 18 miliardi contro 16,8 miliardi nell’anno 2021. Per la cultura invece non ci sono fondi. La cultura continua ad essere la Cenerentola nel nostro paese. Basta assicurare feste, farina e forche, che era il programma di governo dei Borboni a Napoli. Se a questo si aggiunge un continuo stillicidio dei migliori cervelli italiani che si trasferiscono all’estero stanchi della burocrazia, dei baroni che ancora fan parte del nostro sistema universitario, sarà difficile per il nostro paese realizzare quel programma di riforme che l’Europa ci chiede e che ci serve soprattutto per colmare il baratro che ci separa dal resto del continente. Certo non possiamo dimenticare che vi è ancora una larga stima per i nostri scienziati in tutto il mondo, ma il nostro non è un paese che può crescere dimenticando che essa è basata sullo sviluppo della tecnica e della conoscenza scientifica per la quale siamo in debito verso l’Europa.
Novembre 2022