MINACCIA NUCLEARE
Non c’è dubbio che questa guerra nel cuore dell’Europa stia risvegliando antiche paure anche a seguito delle avventate dichiarazioni di quelli che sono responsabili di questo conflitto. Tale deve considerarsi quella resa recentemente da Zelensky secondo il quale: “Tutti i Paesi del mondo dovrebbero prepararsi alla possibilità che Vladimir Putin possa usare armi nucleari tattiche nella guerra in Ucraina”. E’ questo l’allarme rilanciato in un’intervista alla Cnn. “Tutti i Paesi dovrebbero essere preoccupati”, perché la Russia potrebbe decidersi a usare armi nucleari o chimiche in quanto “per loro la vita delle persone non vale niente”. “Dovremmo pensare di non avere paura – ha continuato – non avere paura, ma essere pronti. Ma non si tratta di una questione che riguarda l’Ucraina, ma per tutto il mondo penso”. In effetti, annunciando la messa in stato d’allerta del sistema di deterrenza nucleare, il presidente russo Vladimir Putin ha costretto l’insieme degli Stati maggiori ad aggiornare la dottrina secondo la quale la certezza della distruzione reciproca non è più sufficiente ad escludere l’ipotesi di attacchi nucleari tattici, asseritamente limitati, con il rischio di una escalation incontrollata. Peraltro nel 2018 lo stesso Lavrov ebbe a dichiarare che “se la sopravvivenza della Russia viene minacciata, non viene escluso ricorso all’uso di armi atomiche”. In un commento apparso su “La Repubblica” del 20 c.m. Moises Nair scrive che “per decenni, la cosiddetta dottrina della distruzione mutua assicurata è servita a dissuadere i leader mondiali che fossero tentati di usare armi nucleari. Ma ora le cose sembrano essere cambiate. Alcuni giorni fa, Bill Burns, il rispettato direttore della Cia, ha riconosciuto pubblicamente che gli Stati Uniti sono preoccupati per la possibilità che la Russia tenti di usare armi nucleari tattiche in Ucraina”. Burns ha dichiarato che “ nessuno di noi prende alla leggera la minaccia che la Russia ricorra all’uso di armi nucleari tattiche o di armi nucleari di piccolo calibro”. Anche se è lo stesso presidente ucraino Zalensky che in una dichiarazione successiva all’allarme lanciato, “dubita della reale determinazione della controparte russa. Penso che la minaccia di guerra nucleare sia un bluff. Una cosa è essere un assassino, un’altra quella di volersi suicidare. Qualunque ricorso alle armi nucleari significa la fine per tutte le parti, anche per chi le usa”. La pensa così anche John Feshery, già direttore della comunicazione dell’ex leader della maggioranza repubblicana alla Camera dei rappresentanti. Ma da una decina d’anni la tendenza si è invertita. Nel mondo degli studi strategici si assiste in effetti ad un ritorno delle cosiddette “teorie della vittoria nucleare”. Nel 2022, i nuovi teorici della vittoria nucleare rifiutano la “paralisi” alla quale condurrebbe una visione troppo rigida della deterrenza. Le loro convinzioni strategiche hanno trovato una forma di semi-ufficializzazione nel rapporto “Nuclear Posture Review” dell’amministrazione Trump, pubblicato nel 2018 secondo cui il primo che cede perderà. Nelle ultime settimane, c’è chi sembra accettare che questa combinazione, la peggiore di tutte, possa meritare il nome di “strategia”. Anche la rivista di Magistratura Democratica ha voluto esaminare la prospettiva di un uso della armi nucleari. Se ne è occupato in un articolo il prof. Mario Dogliani, professore emerito di diritto costituzionale nell’Università di Torino. “La consapevolezza della sconfitta potrebbe spingere la Russia a reazioni estreme ma anche la guerra ad oltranza, con la perdurante ombra dell’impero del male, potrebbe spingere l’Occidente ad adottare misure analoghe. Di fronte a queste incertezze radicali è opportuno non perdersi. La guerra in corso si svolge su uno sfondo incombente: quello dell’olocausto nucleare. Un orizzonte questo – aggiunge l’autore – che però è stato sostanzialmente rimosso. E questa rimozione si sta facendo di giorno in giorno più esplicita, con l’acuirsi dell’oltranzismo politico-mass-mediatico dell’Occidente. Entrambe le parti, Nato e Russia, hanno già infranto il tabù ammettendo che la guerra con armi atomiche è una opzione possibile (o che comunque va accettata l’eventualità di una guerra atomica provocata da elementi casuali). Come è possibile che la prospettiva dell’estinzione del genere umano, o di un suo regresso alla più buia preistoria, siano trattate con tanta leggerezza (dai governi e dai formatori dell’opinione pubblica)? Si dice: perché sono in gioco prospettive politiche vitali. Ma tutte le prospettive politiche considerate vitali finiscono con l’apparire, in un arco non lungo di tempo, come insensate: episodi dell’eterna e insensata lotta delle élites. Meritano di essere difese a costo dell’olocausto nucleare? O non dovrebbero essere sempre valutate all’interno di una visione storica più ampia? Come è possibile che questa sia oggi la posizione dominante? Quale degrado intellettuale e morale ha portato ad accettarla?. Interrogativi che restano senza risposta per cui, l’unica posizione moralmente seria non può che essere quella secondo cui le guerre vanno fermate il più presto possibile”. Il pesante intervento degli USA in questa guerra, che allarga sempre di più i confini dello scontro, chi sostiene una soluzione diversa da quella bellicista, un’opposizione che voglia sostenere le ragioni di fermare la guerra, scrive l’autore “sono state messe con le spalle al muro, in un angolo senza dignità e senza orizzonti”. Una posizione che ha finito per classificare come “nemico interno” quella parte della società europea che si preoccupa della rottura del tabù nucleare che avverte che l’olocausto del genere umano è alle porte, che vorrebbe che l’ipotesi della guerra nucleare fosse rifiutata a priori, mentre “si riaffaccia lo spettro dell’“inutile strage” di Benedetto XV, di quella incoscienza furiosa, che oggi non riusciamo più nemmeno a capire, che nel 1914 precipitò l’Europa in una guerra le cui cause ideologiche covavano sotto la cenere e che erano state dolosamente alimentate. L’interventismo di allora non merita giustificazione e illumina i rischi di oggi”. Parole sagge che ci vedono completamente partecipi anche se i palazzi del potere e dei potenti giocano a moscacieca con la vita di milioni di persone. Nel gennaio di questo anno il Centro Diritti Umani dell’Università di Padova ha lanciato un appello contro la guerra in Europa ricordando che: “Non c’è alcuna possibilità di difendere i diritti umani o di risolvere le crisi muovendo carri armati, soldati, navi e aerei di guerra. Questo è il tempo di dichiarare la pace e non la guerra! Nessun processo di allargamento politico o militare può avvenire a spese della vita e della pace. L’Italia e l’Europa lavorino per cambiare rotta. Le guerre costituiscono una criminale sequela che ha le caratteristiche del circolo vizioso: guerra chiama guerra”. Il Trattato di Lisbona, stabilisce espressamente che “L’Unione promuove soluzioni multilaterali ai problemi comuni, in particolare nell’ambito delle Nazioni Unite…L’Unione opera per assicurare un elevato livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al fine di ….preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza internazionale, conformemente agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite…”. Saprà questo appello raggiungere i cuori di chi ci governa ed illuminare la loro mente? Abbiamo poca speranza che ciò avvenga. E allora bisogna far sentire chiara e forte la voce della ragione e unirsi per convincere i nostri governi, se necessario, se non si è disposti a seguire la voce della ragione. E soprattutto fare in modo di bandire una volta per sempre gli armamenti di qualsiasi tipo nei rapporti politici con l’obiettivo di un disarmo generalizzato.
Aprile 2022