LE SPORCHE GUERRE
Oggi tutte le guerre sono sporche, adottando il cliché ormai abusato, della “guerra lampo”. Più viene coinvolta nella guerra anche la popolazione civile, più vicina può dirsi la vittoria. Non fanno eccezione neppure le “piccole guerre” come il secondo conflitto scoppiato nel Nagorno Karabakh, nel corso del quale non sono mancate le violazioni del diritto umanitario, come i bombardamenti di obiettivi civili, torture ed esecuzioni di soldati e civili posti in essere da entrambi le parti, come ha evidenziato un’indagine svolta da una organizzazione indipendente non governativa (IPHR) per la difesa dei diritti umani con sede a Bruxelles in collaborazione con altra analoga organizzazione con sede a Kiev.
Secondo il report, le forze azere hanno usato “armi implicitamente indiscriminate, comprese le armi a grappolo” ed intrapreso “bombardamenti indiscriminati e non proporzionali” su tutto il territorio del Nagorno Karabakh.
A Stepanakert, la capitale del Nagorno Karabakh, l’investigazione ha scoperto che c’era solamente un “potenziale target militare”, un edificio che “viene utilizzato come quartier generale della leadership civile e militare” del Nagorno Karabakh per cui i bombardamenti cui è stato sottoposto, sono stati considerati come “non proporzionati al potenziale vantaggio militare ricercato”.
Inoltre, l’investigazione ha scoperto che se non fosse stato per “i molti rifugi antiaerei” presenti a Stepanakert “ci sarebbero state molte più vittime fra i civili”. A Martakert, gli attacchi sulla città “mediante l’utilizzo di artiglieria non guidata implicitamente indiscriminata e di bombe aeree” effettuati tra settembre e ottobre, non sono giustificati secondo il diritto internazionale umanitario.
Anche gli armeni non sono stati da meno.
Gli investigatori hanno anche verificato un attacco di bombe a grappolo e una bomba a frammentazione sulla città di Barda il 28 ottobre da parte delle forze armene che ha causato la morte di 24 civili. Anche nella città di Terter e nei villaggi circostanti, il report ha verificato “vittime fra i civili, una moltitudine di civili feriti e la totale o parziale distruzione di abitazioni civili”.
Gli omicidi extragiudiziali sia dei prigionieri di guerra sia dei civili sono stati documentati attraverso alcuni video e sembra siano stati eseguiti dall’unità delle forze speciali dei marines azeri.
E’ stata documentata la diffusione della pratica della tortura contro i prigionieri di guerra armeni catturati dall’Azerbaijan, insieme a tre casi di “maltrattamenti e violenze contro i civili armeni” da parte delle forze azere, documentando anche attacchi contro luoghi di culto da parte di entrambe le forze in campo.
A sei mesi dalla stipula della Dichiarazione tripartita tra Russia, Armenia e Azerbaigian che ha posto fine alla “guerra dei 44 giorni” tra Armenia e Azerbaigian, la parola d’ordine è ricostruzione.
Le sfide della ricostruzione sono molte, e hanno un forte potenziale per la politica e l’economia europee. Anzitutto vi è nei territori colpiti dal conflitto un enorme problema di campi minati, eredità dell’occupazione dell’Armenia.
Gli osservatori calcolano che potrebbe volerci un decennio per una bonifica totale. Vi sono poi i danni delle distruzioni materiali: totale assenza di strade, infrastrutture energetiche ed idriche, assenza di qualsiasi attività economica.
Il 12 giugno è stato raggiunto un nuovo accordo tra le parti che ha visto la consegna, da parte dell’Azerbaigian, di 15 armeni detenuti, in cambio di mappe contenenti la localizzazione di 97.000 mine anti carro e antiuomo nel distretto di Aghdam, grazie anche all’intermediazione del Ministro degli Esteri di Georgia.
Il governo azerbaigiano ha stanziato circa 1 miliardo di dollari per i lavori iniziali, ma per la normalizzazione dell’area, vista la sua totale distruzione, saranno necessari circa 60 miliardi di USD ed è ora evidente che un ruolo forte lo può giocare l’Europa, con le sue strutture di cooperazione, le sue imprese, la sua iniziativa politica.
Il nostro Paese è il maggior alleato dell’Azerbaigian in Europa e la partnership strategica tra i due Paesi è stata cementata dalla realizzazione del gasdotto TAP e dalla scelta dell’Italia come hub strategico del gas del Caspio. Tuttavia sarebbe importante, per la politica estera e di sicurezza comune, rilanciare l’Unione Europea come fattore di stabilizzazione dell’area.
In questa fase l’Europa potrebbe giocare una mossa del cavallo. Assunta con determinazione una posizione che superi le divisioni e nel pieno rispetto del diritto internazionale, l’UE potrebbe essere la promotrice di azioni che chiudano per sempre le lacerazioni ereditate dal crollo dell’Urss.
La Georgia, ambiziosa attrice dell’area, sta cercando di accreditarsi con l’Occidente, per giocare un ruolo stabilizzatore.
Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato che gli Stati Uniti sono “grati” al governo della Georgia per la sua disponibilità e anche l’alto rappresentante Ue Josep Borrell ha accolto con favore “le azioni intraprese da Armenia e Azerbaigian e facilitate dalla Georgia”, esprimendo la speranza che tali gesti “aprano la strada per un’ulteriore cooperazione tra le parti”.
Anche la Russia, che ha schierato truppe di pace in Karabakh ed ha avuto un importante ruolo nel cessate il fuoco, ha accolto con favore la mossa.
Ma l’accordo non potrà essere raggiunto senza l’adesione della Russia che è interessata a tenere i rapporti aperti con entrambi i paesi, dove staziona un contingente militare russo di 1.900 soldati per evitare che si verifichino altri incidenti alla frontiera, come è avvenuto recentemente. L’UE dunque, deve tener conto anche di questa prospettiva anche se questo “riavvicinamento” alla Russia, non sarà certo visto di buon occhio né dall’amministrazione USA né dal grande fratello (NATO) che ha interesse a tenere divisa l’Europa per poter controllare la politica estera dell’UE che potrebbe in un futuro non lontano abbandonare la Nato e costruire una sua autonoma posizione, senza che siano il governo USA e la NATO a tracciare la rotta della politica mondiale.
Giugno 2021