IL PREZZO IN ITALIA DELLA BENZINA
Nei giorni scorsi, abbiamo visto come, per la prima volta nella storia il prezzo di produzione del greggio è andato sottozero a causa dell’eccesso di offerta dei produttori rispetto ad una domanda che è scesa da 30 mln. di barili al giorno a 10 mln. di barili al giorno vuoi per le misure di lockdown attuate a livello globale sia per il fermo del trasporto aereo che costituisce buona parte della domanda complessiva. Anche perché la riduzione dell’offerta sul mercato – decisa dai paesi produttori non è ancora operativa. Un ritardo che si riflette anche sull’accumulo delle scorte che ha superato il limite di stoccaggio (59% della sua capacità) del principale hub di smistamento americano. La Cina è uno di quei paesi che beneficerà del petrolio a prezzi stracciati anche se non potrà garantire tutti i posti di lavoro finora assicurati da una crescita forte rispetto ai paesi concorrenti. Ma anche se il petrolio è sceso sottozero i prezzi della benzina alla pompa in Italia non si discostano troppo da quelli attuali, a causa del peso fiscale (IVA e accise) che pesano sul prezzo al consumo. In effetti, in base ad una rilevazione del 13 aprile u.s., il prezzo di benzina verde era di 1,422 euro/ litro con ben 72,8 cent. di accise e 25,6 cent. per IVA mentre quello del gasolio era di 1,315 euro/litro di cui 61,7 cent. di accise e 23,7 cent. di IVA. Dunque nel primo caso il peso fiscale complessivo è di € 97,68 e di € 85,4 nel secondo caso. Ora, a parte l’IVA, a tenere alto il prezzo, sono soprattutto le accise che colpiscono in modo pesante i carburanti e l’energia che paghiamo per il rifornimento. Una sorta di prelievo forzoso che finisce per incidere sulle tasche dei consumatori. Le accise sono delle imposte indirette che si applicano sui consumi andando a colpire i consumatori perché i produttori ed i grossisti caricano questo ulteriore balzello sul prezzo finale pagato dall’acquirente. A ben guardare si tratta di un sistema che lo Stato ha utilizzato per finanziare le più disparate esigenze della finanza statale che incidono per due terzi sul prezzo al consumo. C’è ragione che resti questo ulteriore tributo verso lo Stato? La risposta non può che essere negativa a tener conto che alcune di esse sono state applicate per far fronte alle spese in caso di catastrofi naturali o per finanziare imprese belliche.
E così il prezzo finale del carburante è aumentato di 0,1 cent. per finanziare la guerra in Albania (1935), dello 0,7% a causa della crisi di Suez (1956), dello 0,5% per il disastro del Vajont (1963), dello 0,54% per l’alluvione di Firenze (1966), passando per il terremoto del Belice (1968), del Friuli (1976), dell’Irpinia (1980) e più recentemente anche per finanziare la missione militare in Libano (1983) che incide per il 10,6% sul prezzo, o per far fronte all’emergenza immigrati (2011) per il 4% o per finanziare il decreto Salva Italia (2011) per l’8,1%. Insomma, ogni occasione è buona per far gravare sul consumatore – attraverso questo sistema – spese alle quali dovrebbe provvedere direttamente lo Stato. Per dirla in gergo, un “tesoretto” che tutti i governi hanno utilizzato per finanziare spese e imprese anche quando si tratta di eventi ormai lontani nel tempo ma che hanno lasciato intatto il prelievo che ancora oggi lo Stato effettua. Certo riteniamo siano maturi i tempi per annullare o comunque ridurre questo tributo visto che in questi anni nessun partito politico abbia sentito il dovere di eliminarlo per alleggerire il carico fiscale che grava sui contribuenti.
27/4/2020