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L’EMERGENZA SANITARIA DIETRO LE SBARRE

Come avevano previsto, l’emergenza sanitaria dietro le sbarre comincia a dilagare. Dopo la positività di alcuni operatori sanitari nel carcere “La Dozza” di Bologna e la morte di un detenuto sempre a Bologna, c’è un nuovo caso che fa temere come la Magistratura non sia ancora cosciente del dramma che si sta consumando dietro le sbarre. Questo è il caso di un detenuto, nel carcere di Dozza, in attesa di giudizio, con un sospetto di tumore, che soffre di diabete e che ha contratto anche il coronavirus. Nonostante ciò, il giudice ha ritenuto che può rimanere in carcere. Questa tragica vicenda è stata riportata dal quotidiano “Il Dubbio”. Nel frattempo, il detenuto è stato trasferito al carcere di Tolmezzo per cui il difensore ha indirizzato una richiesta il 19 marzo di domiciliari al GUP che nello stesso giorno ha ricevuto dal carcere bolognese la cartella clinica. Dopo aver letto la cartella clinica il GUP, in data 23 marzo, scrive che “C’è l’elevato rischio di sviluppare complicanze severe e fatali in caso di contagio Covid-19” ma non accoglie la richiesta perché nell’istanza “non risulta indicato il luogo dove il detenuto andrebbe a scontare gli arresti domiciliari” laddove risulta dagli atti che è ben indicato il luogo in cui intende scontare la pena detentiva. Il Giudice rigetta ancora una volta la richiesta ritenendo che nessun elemento nuovo o fatto diverso viene addotto in merito alle esigenze cautelari e che c’è la compatibilità con il regime carcerario. Ora il detenuto condivide la cella con un altro detenuto positivo né il Giudice ha tenuto conto che il virus possa essere letale quando colpisce le persone con altre patologie pregresse. Sembra strano che, difronte a una situazione indiscutibile di grave rischio per la salute del detenuto, peraltro in attesa di giudizio, la Giustizia voglia far sentire la mano pesante, incurante dello stato di salute del detenuto. Alla luce dei casi che non possono più ritenersi isolati di diffusione del contagio dietro le sbarre, riteniamo che, sia pur tardivamente, debba essere utilizzato – come già disposto da alcune Procure, in primo piano quella di Milano – di applicare la misura degli arresti domiciliari sia per la tutela della salute della persona detenuta che della collettività intera. Soluzione questa fortemente avversata sia dall’amministrazione statale che da parte di molte Procure le quali sono recalcitranti innalzando a dogma il ricorso al carcere, come forma di espiazione del reato ma anche quando – e questo è grave – non vi sia stata ancora neppure una sentenza di condanna.

20.4.2020

L’EMERGENZA SANITARIA DIETRO LE SBARRE

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