ACCESO DIBATTITO IN CORSO A BRUXELLES
Come abbiamo visto, si è conclusa con un nulla di fatto la videoconferenza che si è svolta il 7 u.s. tra i membri dell’Eurogruppo per trovare una risposta comune alla crisi economica innescata dal coronavirus. Da una parte troviamo il gruppo dei paesi del Nord che si dichiarano disposti a concedere l’accesso al Fondo Salva Stati (MES) che viene invece ritenuto inidoneo dai paesi del Sud Europa che insistono per un diverso e più ampio intervento tenuto conto dell’urgenza di reperire una liquidità immediata da investire per dare impulso alla ripresa. La somma di cui potrebbe disporre l’Italia, se accettasse la proposta avanzata dai paesi del Nord Europa, sarebbe di circa 36 mld. di euro, somma ritenuta insufficiente dall’Italia e dagli altri paesi del Sud Europa che insistono invece per l’emissione di Eurobond comuni che i paesi nordici, ed in particolare l’Olanda, non ritengono concedere temendo che i paesi più deboli dal punto di vista economico, ed in particolare l’Italia, potrebbero sfruttare l’occasione per affrontare una situazione di fragilità che non dipende affatto dal solo coronavirus ma dalla crescita esponenziale del debito statale che i governi di oggi e di ieri non hanno saputo controllare, di cui dunque diventerebbero garanti anche l’UE, oltre allo Stato che ne faccia uso. Ma non si tratta solo di adeguatezza o meno del MES o dei titoli europei che propongono l’Italia e la Francia. Si tratta di un nodo anche politico che va sciolto: in particolare, se debbano prevalere gli interessi dei singoli Stati o guardare alla prospettiva di una vera Europa politica che fino ad oggi però è ancora in costruzione, grazie sempre ad una politica di stampo sovranista che non ha risparmiato nessuno degli Stati membri dell’UE. Avevamo accennato anche ad una proposta ventilata dal Commissario all’Economia Gentiloni, d’accordo con il Commissario all’Industria Breton di creare un fondo europeo espressamente concepito per emettere obbligazioni a lungo termine, un’emissione una tantum con risorse governative destinate solo alla recessione del Covid-19. A ulteriore garanzia i commissari propongono di rimettere i soldi nel bilancio dell’Unione “per anticipare e completare l’aumento delle sue capacità per lanciare un piano Marshall UE”. Insomma, i due commissari UE, non ritengono sufficienti i 750 mld. messi in campo dalla BCE e gli altri strumenti già operativi, oltre alla sospensione del Patto di Stabilità e il pacchetto in arrivo dall’Eurogruppo con tre misure di 540 mld. di euro. “Serve un quarto pilastro di finanziamenti” scrivono Gentiloni e Breton. “Il fondo chiamato ad emetterli potrebbe essere gestito dai governi o dalla commissione UE anche se i suoi proventi andrebbero comunque nel bilancio dell’UE. Quel che conta è il carattere una tantum delle emissioni e il fatto che sono legate al virus.” “Un modo per rassicurare i nordici che non ci sarà una mutualizzazione totale dei debiti” scrive La Repubblica dell’8 u.s.. Per l’Italia sarebbe necessario che vengano raccolti fino a mille mld. di euro, disponibili entro due-tre mesi con scadenze ventennali e tassi vicino allo zero. Condizioni molto favorevoli che il mercato finanziario probabilmente non sarà disposto a concedere per cui, anche se si arrivasse all’accordo su questo punto, questa potrebbe rivelarsi del tutto inadeguata. Dopo il rinvio ad oggi di un nuovo incontro dell’Eurogruppo, nonostante i progressi raggiunti, nessun accordo è all’orizzonte. Da una parte l’Olanda ribadisce la sua contrarietà agli Eurobond “perché aumenta i rischi per l’Europa anziché ridurli”. In effetti, a ben vedere, questo è l’unico punto che divide le parti in quanto vi è stato un sostanziale accordo su tre delle quattro “gambe” proposte. Innanzitutto il ricorso al meccanismo previsto dal Fondo salva Stati (MES) viene consentito senza particolari condizioni, a patto però che i prestiti erogati vengano utilizzati dai paesi membri solo per attività riconducibili al Covid. Nessun problema neppure per il Sure, 100 mld. di euro concessi dalla Commissione per aiutare gli Stati a finanziare la cassaintegrazione e gli altri 400 mld. di euro finanziati dalla BEI per uscire dalla crisi senza dimenticare la disponibilità della BCE di acquistare i titoli di Stato senza limite alcuno, fino all’importo di 750 mld. di euro. Dunque una disponibilità posta in essere dall’UE per far fronte a questa prima fase. Un braccio di ferro rischia di mettere in crisi il futuro dell’Europa se l’Italia e gli altri paesi del Sud Europa continuano a rifiutare di sottoscrivere l’accordo finora raggiunto sugli altri tre punti. Tanto più che la Francia sta tentando di mediare con la proposta di un fondo di solidarietà della durata da tre a cinque anni che dovrebbe emettere titoli di debito, con garanzie comuni, che potrebbero arrivare al 3% del PIL. Un’alternativa da non lasciar cadere, tenuto conto che essa si aggiunge alle misure precedenti su cui l’accordo c’è già. Ovviamente se, come sembra, il governo italiano non intende avere le mani legate sull’uso che farà di tali fondi, allora deve essere Conte a convincersi se vuole essere un vero europeista o passare alla storia per aver portato l’Italia fuori dall’UE. Operazione, peraltro non semplice, solo a guardare all’esperienza della Brexit che, a quattro anni dalla decisione di uscire dall’UE, è ancora in una grave situazione sia interna che estera e non ha ancora chiuso i conti con l’UE. Per l’Italia sarebbe un vero e proprio suicidio, un salto nel buio che porterebbe non solo ad un collasso economico di enormi proporzioni (recessione industriale e aumento della disoccupazione) ma anche a tensioni sociali e conflitti politici che potrebbero mettere in discussione anche il nostro sistema democratico. Uno scenario davvero disastroso che gli italiani non meritano per la storia del nostro paese, per la sua coscienza europeista e per non spegnere il sogno di un’Europa federale, obiettivo che non va mai dimenticato. Sta oggi al governo italiano di scegliere se entrare in un’epoca di tempesta e di uscire dall’Europa, sempre che gli italiani lo vogliano. Passaggio necessario sarà, come è avvenuto in Inghilterra, che il patto di adesione all’UE sia riportato all’esame del Parlamento per cui, in mancanza di mandato in tal senso, la vicenda si complicherebbe ancora di più con conseguenze notevoli sul piano del funzionamento delle nostre istituzioni parlamentari. L’Europa può anche fare a meno dell’Italia, sia pure a malincuore, se decidessimo di adottare questa soluzione ma è l’Italia che non può fare a meno dell’Europa. Più Europa, dunque, e meno sovranismo, sicuri che potremo contare sempre sulla vicinanza e la solidarietà dei nostri partners europei.
9/4/2020