IL CORONAVIRUS DIETRO LE SBARRE
Più di una voce si è levata nei giorni scorsi a ricordare al ministro Bonafede la difficile situazione di allarme nelle carceri, malgrado qualche magistrato abbia dichiarato che i reclusi dietro le sbarre addirittura sono di fatto molto più protetti dei cittadini in libertà. Benché si tratta di un “mondo a parte” – in caso della comparsa del virus – il contagio si trasmetterebbe a tutta la popolazione carceraria in brevissimo tempo, viste le condizioni in cui i reclusi si trovano nelle celle. La raccomandazione di mandare a casa un buon numero di reclusi, sussistendone le possibilità, in base alla norme di legge in vigore, è stata fortemente avversata da alcuni settori della magistratura inquirente tanto è vero che le misure messe in campo non si sono rilevate affatto adeguate. Il provvedimento in base al decreto Cura Italia del 17 marzo scorso è stato giudicato gravemente inadeguato sia dai garanti dei diritti dei reclusi che dai sindacati della polizia penitenziaria. La previsione, rispetto ad un sovraffollamento di 10-12 mila unità è che ad uscire sarà un numero ridotto di reclusi. E’ lo stesso ministro Bonafede a confermare che “son 50 i detenuti che hanno beneficiato della misura” e “150 quelli in semi-libertà che hanno ottenuto di non rientrare in carcere la sera” (La Repubblica del 3.4). “Grazie al sostegno dei giustizionalisti di destra e di sinistra e alla intimidazione morale di Matteo Salvini e dei suoi lanzichenecchi di latta” – scrive ancora Luigi Manconi – (La Repubblica del 3.9) “quella che ne esce peggio è la salute pubblica in un luogo così contratto e insidioso come il carcere”. Se qualcuno aspettava il morto, ebbene nei giorni scorsi è deceduto all’Ospedale a Bologna un recluso proveniente dal carcere bolognese della Dozza. Nella stessa giornata del 2 aprile, in una audizione organizzata dal comune il garante nazionale dei detenuti Mauro Palma, ha confermato che vi erano altri episodi di contagio da coronavirus. “Due persone risultano positive e c’è un caso di positività anche tra il personale di polizia penitenziaria mentre altri tre agenti sono in quarantena precauzionale”. Numeri cui vanno aggiunti quelli relativi al personale sanitario in servizio all’infermeria e risultati positivi ai tamponi ossia 15 infermieri e 8 medici. “I sindacati (La Repubblica del 3.4) hanno denunciato che i tamponi fatti sono pochissimi e sono stati fatti a caso”. Di qui la richiesta di “tamponi urgenti su tutti gli agenti”. L’associazione “Nessuno tocchi Caino” che si occupi dei detenuti ha scritto al Presidente della Repubblica “chiedendo di intervenire con urgenza per disinnescare la bomba ad orologeria delle carceri”. Se il livello di rischio contagio si è innalzato alla luce della grave situazione denunciata a Bologna, immaginiamo quale possa essere la situazione in altri penitenziari italiani come, per fare un esempio, quello di Rebibbia a Roma dove il sovraffollamento è del 153% . E’ sempre Manconi a ricordarlo che nella sezione femminile di Rebibbia “55 bambini sono detenuti insieme alle proprie madri”. Bambini che rischiano di ammalarsi “resi ancora più disuguali rispetti ai loro coetanei liberi che hanno visto riconosciuto il loro diritto “all’aria aperta”. E allora – ci si chiede – non sarebbe proprio questo il momento per cancellare un simile oltraggio alla nostra civiltà giuridica?” E’ amaro riconoscere come questo appello disperato non sia stato fino ad oggi raccolto da chi è responsabile di questo vero e proprio crimine nei confronti di soggetti minori. Insomma come si fa a pensare che in una pandemia diffusa a livello mondiale nessuno si prende cura di questi innocenti che, in caso di contagio, si troverebbero a lasciare questo mondo da reclusi quando non hanno commesso alcun reato? “Liberare quei bambini trasmette anche un importante messaggio: la consapevolezza che il carcere è un luogo e terribilmente patogeno; lo è tanto di più quanto meno risulta trasparente e conoscibile”.
6/4/2020
Avv. E. Oropallo
Il coronavirus dietro le sbarre