Permesso di Soggiorno e Pericolosità Sociale – Sentenza Consiglio di Stato 20-04-09 / 2342
PERMESSO di SOGGIORNO e PERICOLOSITA’ SOCIALE
Con recentissima sentenza del 20/4/2009 n. 2342/09 il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittimo il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno fondato su errato giudizio di pericolosità sociale la quale non può essere aprioristicamente presumibile, dovendosi, invece, valutare caso per caso ed in concreto.
Il riferimento normativo nel caso di specie è quello dell’art. 26 comma 7 bis del D.Lgs. n. 286/1998 che disciplina la posizione dello straniero richiedente il permesso di soggiorno per lavoro autonomo. La norma in esame ritiene che la condanna per delitti in materia di cd. “tutela del diritto d’autore” costituisce automatico dato preclusivo della possibilità per lo straniero di ottenere o mantenere il titolo abilitativo della propria presenza in Italia ma tale fattispecie, secondo il CdS, non si attaglia alla posizione del richiedente che si è limitato a richiedere il permesso mutuato col rapporto di lavoro subordinato. In pratica il CdS ha ritenuto l’inapplicabilità della norma riferibile specificamente al caso di richiesta di soggiorno per lavoro autonomo, così come esplicitamente suggerisce anche la collocazione della norma. Non ignora – scrive il collegio – peraltro, che recente giurisprudenza di primo grado (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II 08.3.2007 n. 2237) abbia ritenuto di ampliare lo spettro della disposizione in oggetto affermando che “l’applicazione dell’art. 26 comma 7 d.lg. 25.7.1998.. deve essere consentita anche nell’ipotesi in cui lo straniero – già titolare di un permesso per lavoro subordinato – ne chieda il rinnovo dopo aver riportato condanna per reato concernente il falso d’autore; ciò perché non è da escludere che il titolare di un rapporto di lavoro subordinato possa nel tempo libero…dedicarsi alla vendita di articoli contraffatti”. Il Collegio ha ritenuto che ciò non possa avvenire estendendo puramente e semplicemente l’ambito applicativo della disposizione medesima: tale elemento può essere valutato – unitamente ad altri elementi offerti dall’Amministrazione – per comprovare la pericolosità sociale del richiedente. Nel caso di specie – rileva il Giudicante – è stato del tutto omesso ogni accertamento sulla pericolosità sociale dell’appellante, limitandosi a rilevare acriticamente il precedente penale facendone discendere un effetto preclusivo automatico.
La decisione del Supremo organo della giustizia amm.va è decisamente interessante ed è rispettosa del principio di legalità, spesse volte calpestato in nome di un generico quanto pericoloso richiamo alla sicurezza sociale. Strumento abusato in ogni campagna discriminatoria nei confronti degli immigrati accusati di tutti i problemi di ordine pubblico, dimenticando che di queste pesanti discriminazioni e pregiudizi han sofferto i nostri trisavoli costretti dalla miseria a traghettare se stessi e le loro famiglie sull’altra sponda dell’Atlantico.
A dire il vero, non era sfuggita, a più di un giurista, l’anomalia di questa disposizione (cfr. disciplina dell’immigrazione di G. Bellagamba e G. Conti – Giuffè pagg. 243 e segg.) “perché l’espulsione, come conseguenza della commissione di reati, è già proibita dagli artt. 15 e 16 del T.U. e le ipotesi collegate a reati di una certa gravità”. Quella in oggetto, invece, è sanzione amministrativa per cui è ravvisabile qualche profilo di incostituzionalità “specialmente per la irragionevole “parità” di trattamento che può verificarsi tra stranieri, quando venga espulso taluno condannato per i non gravi reati prima indicati (quelli classici del venditore di strada) al pari di altri con condanne per fatti ben più rilevanti”.
La sentenza rispecchia anche i principi riaffermati continuamente dalla Corte di Giustizia europea che ha confermato a più riprese che è sempre necessario, per il diniego del permesso di soggiorno, motivato dalla pericolosità sociale, accertare in concreto e caso per caso l’esistenza di precisi comportamenti ostativi e non in via genericamente presuntiva.
Scheda a cura dell’avv. Oropallo – Cassazionista – Foro di Forlì-Cesena