ORBAN E LA ROTTA BALCANICA
Il mese scorso, incontrando la stampa straniera dopo la pausa natalizia, il premier ungherese Viktor Orbán ha espresso le sue preoccupazioni per la ripresa dei flussi migratori sulla rotta balcanica per cui ha deciso di rafforzare il numero dei soldati che presidiano il confine con la Serbia, Romania e Croazia. E questa volta il rischio è maggiore del 2015 quando Angela Merkel aprì le porte della Germania ai profughi. Certo i numeri attuali sono lontani da quelli di cinque anni fa anche se il conflitto in corso in Siria che sta mietendo centinaia di vittime, potrebbe portare ad un incremento dei flussi attuali. In effetti, fino alla prima settimana di dicembre vi sarebbero stati più di 13mila tentativi di attraversamento illegale delle frontiere serbo-ungherese mentre nei primi giorni di gennaio ci sarebbero stati già 900 tentativi di attraversamento delle frontiere. Tra l’altro, l’ufficio turco per l’immigrazione ha riferito che nel paese erano entrati 450mila migranti illegali per cui è stato facile per Orbán parlare di “emergenza immigrazione”. Per questo Orbán ha riattivato gli accordi in essere sulla “protezione dei confini” sia con gli altri paesi del gruppo di Visegrad, sempre contrari a qualsiasi redistribuzione dei profughi che arrivano in Europa sia con la Macedonia del Nord e la Serbia, potendo contare sull’appoggio della opinione pubblica ungherese. E’ anche vero però che questa linea dura potrebbe causargli ulteriori problemi all’interno del PPE, dopo la condanna espressa sia dal Parlamento che dalla Commissione per la violazione delle norme in materia di migrazione e per le violazioni dei diritti civili, per cui il braccio di ferro tra paesi “sovranisti” e l’UE continua. Non si può certo immaginare quale sarà l’esito di questo braccio di ferro ma, dopo tante conferme da parte del governo ungherese, l’UE non potrà ancora temporeggiare nel presentare un ricorso alla Corte di Giustizia europea per violazione delle norme comunitarie che potrebbero comportare anche l’uscita dell’Ungheria dall’UE. Rischio che non è nei piani di Orbán perché se oggi il paese riesce ancora ad avere una economia in crescita lo deve essenzialmente ai fondi europei di cui esso gode. Motivo per cui si può ipotizzare che una maggiore pressione dell’UE potrebbe anche cambiare il volto politico del paese appoggiando quella minoranza, certamente non esigua, di cittadini che intendono restare nell’UE per cui Orbán sarebbe costretto a lasciare il potere o comunque a ridimensionare la sua politica sciovinista. Va ricordato che nelle ultime elezioni comunali, la coalizione politica dei gruppi di sinistra è riuscita a conquistare un buon successo, facendo eleggere il suo candidato a Budapest. Se c’è un punto sul quale l’UE non può cedere è quello della difesa ad oltranza dei principi fondanti dell’Unione per cui deve battersi per isolare tutti i focolai nazionalisti che ancora ostacolano la prospettiva della creazione di uno Stato federale europeo. Diversamente, non solo l’UE potrebbe perdere il credito di cui essa gode presso larghi strati della popolazione europea ma potrebbe rischiare anche di mettere fine a qualsiasi prospettiva di sviluppo dell’Unione.
26.02.2020