SVUOTARE LE CARCERI SUBITO!
Questo è l’appello lanciato dall’Associazione Nazionale Giuristi Democratici insieme ad altri organismi dopo che all’inizio del mese ben 27 istituti di pena sono stati coinvolti dalle proteste dei detenuti con un numero di almeno sei morti e con numerosi feriti di cui alcuni gravi. Protesta largamente prevedibile in un paese dove nelle carceri i detenuti sono più di 61.000 con una capienza massima di 50.000 posti “in cui da decenni – si legge nell’appello – non si vede un provvedimento di indulto o amnistia, in cui la penalizzazione di ogni devianza e di ogni protesta è diventata norma, in cui qualcuno parla di “buttare la chiave” e qualcun altro abolisce prescrizione e garanzie”.
Il governo del rigore, si fa per dire, il primo ma anche il secondo governo Conte, ha contribuito ad emarginare il problema né il Ministro di Giustizia, lo stesso in entrambi i governi, ha inteso recepire le proposte provenienti sia dagli organi istituzionali sia dalle Associazioni degli avvocati penalisti. Per riportarci all’attualità, l’appello ricorda che “in luoghi in cui la convivenza è forzata e diventa promiscuità, in luoghi in cui la salute non è garantita neppure in via ordinaria, in cui decine di persone coabitano luoghi angusti, il terrore del contagio si moltiplica e le forme di “sicurezza” si trasformano in ulteriore isolamento.
Il blocco delle visite parentali, unite all’assenza di quei pochi servizi assicurati in buona parte dal volontariato, non possono che generare disperazione che può sfociare in violenza contro soggetti incolpevoli”. “La sola via di uscita – conclude l’appello – è quella di ridurre quanto più possibile il pericolo del contagio ma anche della violenza e della disperazione” e ciò può avvenire svuotando le carceri (e gli altri luoghi di contenzione) delle persone detenute, anziane e malate, con la concessione della detenzione domiciliare, della libertà vigilata e/o sospensione delle pene, oltre di coloro che hanno pene brevi da scontare.
Ma il governo sembra di non essere consapevole della drammatica situazione delle carceri italiane, anche se, nel corso della protesta, ha promesso misure immediate per evitare che l’incendio della protesta si estendesse agli altri istituti di pena.
L’Unione delle Camere Penali italiane ha proposto una serie di interventi specifici, ragionevoli e urgenti, tra i quali l’amministrazione ha selezionato solo la detenzione domiciliare, limitandola però alle pene residue o totali fino a 18 mesi, escludendola per alcune categorie e subordinandola all’utilizzo del braccialetto elettronico, “ove disponibile”. Pur così depurata, la norma avrebbe potuto consentire a quasi diecimila persone di lasciare il carcere, favorendo una migliore gestione dell’emergenza.
In fase di approvazione del decreto Cura Italia però il ricorso al braccialetto da facoltativo è diventato obbligatorio per cui, in assenza di braccialetto, il provvedimento non risulta applicabile se non in misura nettamente inferiore rispetto all’emergenza.
Perché il governo ha finito per sabotare la disposizione? Non è dato di saperlo, lasciando senza risposta la domanda formulata dal Presidente dell’UCPI. Probabilmente anche questa volta è prevalsa la linea dura, quella di chi ha fatto sapere che si sarebbe opposto ad uno svuotamento delle carceri, riportando per strada migliaia di delinquenti. Certo è che sia il Presidente del Consiglio che il Ministro di Giustizia, continuano a temere gli strali che lancia ancora il loro ex collega di governo. Né ha fatto sentire la sua voce l’alleato di governo, dove pure vi era qualche voce fuori dal coro. Evidentemente, in questo clima di parossismo e di confusione, vale il principio “si salvi chi può”.
E’ superfluo ricordare che sarebbe necessaria – anche se non ci fosse l’emergenza – l’applicazione di provvedimenti di clemenza per il solo fatto che le condizioni di vita dei detenuti costituiscono spesso una vera tortura. “Provvedimenti così, necessari e intelligenti – si legge sul quotidiano “Il dubbio” – cozzano troppo con la visione miope e sgrammaticata delle pene tanto in voga dalle parti dell’esecutivo”. In questi giorni invece di sofferenza ed emergenza, “dovere inderogabile sarebbe rimettere al centro la tutela dell’essere umano, specie del più debole, affidato alla cura dello Stato”.
La privazione della libertà è di per se stessa la pena: non neghiamo ai detenuti di poter esercitare quei diritti che sono inalienabili per l’individuo anche quando è in stato di detenzione, che non si può cancellare ogni suo diritto, tra i quali prevalente è il diritto alla salute. E se oggi la detenzione costituisce una grave limitazione di questo diritto, non vi è altra strada che quella di svuotare le carceri, mantenendo la detenzione per quei reclusi condannati a pene più gravi ai quali, comunque, all’interno delle carceri va assicurata ogni misura che possa bloccare o attenuare il contagio, come avviene all’esterno.
“Nell’avvertire il Guardiasigilli Alfonso Buonafede che il rischio coronavirus nei penitenziari è altissimo” la componente “Area dell’ANM ricorda che vanno tutelati sia i detenuti ma anche quelli che per loro lavorano all’interno del carcere”. Purtroppo la risposta del Ministro lascia senza fiato quando riferisce che fisicamente hanno lasciato il carcere solo 200 detenuti, rispetto alla previsione, perché mancano i braccialetti, suscitando le reazioni di molti esponenti politici. L’Alto Commissario ONU per i diritti umani Michelle Bachelet ricorda come il coronavirus possa essere devastante per i detenuti per cui bisognerebbe liberare i reclusi più vulnerabili al virus come “anziani e malati” ma anche “i non pericolosi”. Neppure il dem. Valter Vierini riesce a scuotere il Ministro “Ci sono 10.000 reclusi in più e al tempo del coronavirus il sistema penitenziario rischia di diventare una bomba sanitaria”. In effetti gli aventi diritto ad uscire più in fretta sarebbero 6000 ma i braccialetti disponibili al 15 maggio prossimo saranno solo 2.600. Un grido d’aiuto i detenuti lo inviano sia al Presidente della Repubblica che al Papa pubblicato sul sito de “La Repubblica” del 22 marzo scorso esprimendo la preoccupazione per l’incolumità propria e degli altri operatori carcerari con un invito a prendere provvedimenti per il contenimento del virus all’interno delle carceri e al problema del sovraffollamento, perché connessi tra loro.
Lunedì 23 u.s., secondo notizie riportate dal quotidiano “La Repubblica” nel carcere “Dozza” di Bologna sarebbero 19 i sanitari in servizio che nelle ultime ore si sono ammalati di Covid-19. Un numero consistente se si pensa che nel carcere bolognese operano in tutto una trentina tra medici e infermieri.
I sindacati della Polizia penitenziaria “esprimono la loro protesta contro l’assenteismo dei vertici del DAP e si dichiarano pronti a tutte le
azioni di protesta”. “Se così stanno le cose e la richiesta di salvare la pelle ai detenuti non trova massicci consensi, pensiamo almeno alla salute pubblica, quella cioè di tutti noi” – scrive su La Repubblica del 19 marzo u.s. Luigi Manconi il quale ricorda che – “una cella chiusa e affollata costituisce un formidabile incentivo alla diffusione del coronavirus”. L’Associazione Antigone che ha potuto visitare oltre la metà dei penitenziari italiani, ha rilevato che il 50% delle celle erano prive di acqua calda e docce e che il sovraffollamento medio sfiorava il 120% della capienza e, in alcune carceri arrivava anche al 190%”. Osserva Manconi che “nel sistema penitenziario, una cellula patogena e un potenziale focolaio di infezione assai più pericoloso di altre strutture che accolgono rilevanti aggregazioni di individui”. D’altra parte, se è stato ritenuto necessario limitare la libertà di circolazione dei cittadini, costretti a restare a casa per rallentare la velocità di diffusione del coronavirus, con grosse limitazioni dei rapporti sociali, come si fa a tener chiusi migliaia di individui che vivono l’uno accanto all’altro, con spazi ridotti al minimo indispensabile? E’ evidente che questo governo non ha ritenuto che la salute dei detenuti vada difesa come quella degli uomini liberi.
Davvero una decisione incredibile per cui il rischio di una diffusione incontrollata del coronavirus all’interno delle carceri non potrà che confermare la grave responsabilità di questo governo ed in particolare del Ministro di Giustizia. La proiezione statistica del governo calcola che, in virtù dei provvedimenti assunti, usciranno dal carcere circa tremila detenuti sugli oltre sessantamila presenti ma, per quanto ammesso dal Ministro, i numeri sono molto più contenuti. In proposito, come ha dichiarato a “Il Dubbio” una componente del Collegio del Garante nazionale “per decongestionare rapidamente le carceri, le uniche misure efficaci sono l’applicazione della liberazione anticipata speciale, i domiciliari, la licenza per i semi-liberi”. Potrebbero uscire circa 15mila detenuti, consentendo così un vero e proprio programma di sanificazione degli ambienti e assumere quelle precauzioni oggi rese impossibili dalla abnorme congestione degli spazi vitali. In questi tempi in cui tutti parlano di situazione eccezionale, di grave emergenza sanitaria, quando si va a mettere in discussione la libera circolazione dei cittadini, ci aspetteremmo un gesto di coraggio e lungimiranza da parte delle istituzioni “dopotutto – conclude Manconi – l’Iran accusato di dispotismo teocratico ha liberato 85mila detenuti” che rischiavano di soccombere per mancanza di cure. Una grande democrazia occidentale, come vorrebbe apparire più che ad esserlo, l’Italia rivela davvero le gravi limitazioni culturali e sociali da cui è ancora afflitta.
La complessità della situazione, come quella che stiamo vivendo, non può far dimenticare che vi sono diritti costituzionalmente protetti che vanno tutelati per tutti i cittadini, sia per quelli liberi ma ancor di più a chi è soggetto ad una misura di detenzione da parte dello Stato.
26/3/2020