Parte 4° – LA GRANDE PAURA
Così titola “La Repubblica” dell’ 8 u.s. “Le due esplosioni nella notte di sabato sono apparse come la prova generale della grande ritorsione minacciate da Teheran”. Ritorsione che potrebbe coinvolgere anche i nostri cento militari operanti nella capitale irachena “che rischiano di diventare vittime di una rappresaglia diretta esclusivamente contro gli Stati Uniti”. Il Quirinale ha sollecitato la necessità di un intervento immediato per mettere in sicurezza i nostri militari che, peraltro, non si sono mostrati preoccupati per i razzi. “Se non riesci a a fare i conti con la paura, non affronti questa vita. Quando ti arruoli sai benissimo che potresti finire in Iraq o in Afghanistan”, dichiara un militare. Si tratta in effetti di soldati professionisti operanti in zone dove il pericolo è reale. Comunque una prima parte dei carabinieri ha lasciato la base della capitale e trenta sono in altro edificio della città; il resto del reparto dell’Arma e il distaccamento di incursori li hanno seguiti poche ore dopo. Ma il pericolo di coinvolgimento dei nostri militari non è limitato al territorio iracheno in quanto l’attacco iracheno potrebbe essere portato anche dalle milizie Hezbollah libanesi nei confronti di Israele, come ha dichiarato il leader di queste milizie che ha promesso di vendicare la morte di Soleimani “sarà responsabilità di tutti i combattenti”. A vegliare sulla tregua tra Israele e Hezbollah ci sono oltre mille soldati italiani che fanno parte del contingente ONU. Si tratta puramente del posto più caldo del pianeta. Questa crisi potrebbe esporci a gravi ripercussioni mentre in Iraq gli italiani operano sotto comando americano, fianco a fianco con i militari statunitensi. Ma c’è da aggiungere che gli Stati Uniti non possono affrontare la prospettiva di un conflitto senza contare sulle basi americane in Italia. Da tre giorni le basi di Sigonella e di Aviano in Friuli sono utilizzate per trasferire le truppe verso il fronte di guerra mentre a Napoli il quartier generale della VI flotta americana è diventato la prima linea di emergenza. In teoria dunque anche queste strutture sono potenziali bersagli per un attacco iraniano. Ipotesi ritenuta poco probabile tenuto conto degli ottimi rapporti commerciali che l’Italia ha in corso con l’Iran fin dal 1957 quando l’ENI ebbe a siglare un primo accordo con la compagnia petrolifera iraniana per lo sfruttamento dei giacimenti iraniani, scalzando le “sette sorelle”. Da allora sono rimasti stabili i legami economici tra i due paesi. Dopo il viaggio in Italia del presidente Rouhani nel 2015, l’interscambio con Teheran è aumentato arrivando a 5,1 miliardi di euro nel 2017, facendo dell’Italia il primo partner commerciale con l’Iran. Molteplici anche gli interessi economici italiani in Iraq dove il gruppo Trevi è riuscito a completare i lavori di consolidamento della diga di Mosul che fornisce acqua a buona parte dell’Iraq, compresa la capitale, ritenuto un sito di notevole importanza dunque in una regione che conosce spesso lunghi periodi di siccità. L’interscambio nel 2018 ha sfiorato i 3 miliardi di euro mentre nel 2019 l’Iraq è stato il primo fornitore di greggio con 12 milioni di tonnellate pari al 20% dei consumi totali. Dunque, anche l’Italia ha tutto l’interesse a riportare la pace in questa regione per assicurarsi le forniture di greggio per cui un eventuale blocco dello stretto di Hormuz – dal quale passano le petroliere che trasportano il greggio pari ad un terzo del volume di scambi del mercato mondiale – sicuramente non intaccherebbe gli interessi degli Stati Uniti, quasi vicina all’ autosufficienza petrolifera ma peserebbe molto sul resto dell’Occidente, in particolare sui paesi dell’UE. Poiché sono alla fine gli interessi economici che determinano il corso della politica, è evidente come la politica europea si divarica anche in questa crisi da quella USA, anche se fino ad oggi l’UE non ha ancora fatto sentire la sua voce.
10.01.2020