Il caso Whirpool
Dopo che i dirigenti dell’azienda, da mesi, hanno reso pubblica la decisione di chiudere lo stabilimento di Napoli che dà lavoro a 410 operai diretti e 534 dell’indotto, continua il braccio di ferro tra governo e la direzione aziendale per scongiurare la chiusura. Purtroppo, nel panorama industriale del Sud, il caso rappresenta un ennesimo segnale negativo che, in una città come Napoli, si trasforma in un ennesimo dramma sociale. L’azienda è irremovibile nella decisione che ha preso: tra le possibili alternative c’è quella che prevede il passaggio della fabbrica nelle mani degli stessi lavoratori, affiancati semmai da INVITALIA, l’agenzia nazionale, che vorrebbe confermare la produzione di lavatrici qui a Napoli. Prospettiva ventilata dopo il naufragio delle trattative, con il rifiuto del governo di prendere in considerazione la riconversione industriale proposta dalla multinazionale americana che, in alternativa, propone il trasferimento della fabbrica al gruppo svizzero PRS, ma a guida italiana, che produrrebbe frigo-container e che sarebbe affiancato da un altro partner industriale italiano. Una proposta questa che ci sembra abbastanza accettabile per cui non si capisce perché il governo l’abbia rifiutata anche in considerazione del fatto che essa consentirebbe la ripresa immediata del lavoro, escludendo qualsiasi intervento finanziario del governo in un periodo economicamente così delicato. Anche perché il passaggio dell’azienda nelle mani dei lavoratori è “un percorso – come scrive La Repubblica – davvero in salita, vista la difficoltà di presidiare, adeguatamente, sia sotto l’aspetto tecnologico che commerciale, un mercato come quello degli elettrodomestici”. Insomma, una decisione ancora una volta al buio senza alcuna garanzia di successo. Nel frattempo, a fine ottobre l’ex direttore dello stabilimento di Napoli ha comunicato che l’azienda si troverà costretta a procedere alla cessazione dell’attività produttiva con decorrenza dal primo novembre. Il governo, per bocca del ministro Patuanelli, ha ribadito il suo no alla cessione del ramo d’azienda alla PRS, definendola un’operazione “sostanzialmente verso l’ignoto”. Può essere ma in alternativa, non si può ancora ricorrere ad una manovra che sarebbe molto più onerosa e che, comunque, presenterebbe gli stessi rischi. Anche i sindacati hanno subito reagito, dichiarandosi contrari all’operazione del trasferimento del ramo d’azienda alla svizzera PRS. La decisione unilaterale non è piaciuta al governo che ha convocato l’azienda per venerdì prossimo, bloccando, nel frattempo, gli incentivi per 13 milioni assegnati nel corso degli anni a Whirpool. Insomma, si riapre lo scontro anche se il governo e i sindacati dovrebbero sapere che non esistono strumenti legali per bloccare la decisione dell’azienda. E allora, perché illudere ancora una volta gli operai? Solo per dirigere la protesta dei lavoratori contro il datore di lavoro? Mi sembra davvero una grossa mistificazione che ancora una volta serve per coprire l’incapacità della politica di dare una risposta a questo caso ma anche ai tanti altri che sono espressione dei limiti di un sistema economico che ha fatto il suo tempo. Al contrario, la Regione Campania approva un ordine del giorno che impegna la Giunta “a proseguire nell’individuazione di soluzioni che garantiscono il rilancio del sito produttivo”. Ma che cosa ha fatto la Regione in questi mesi? Crede forse che si possa continuare a sollevare polveroni? “Siamo in grado di mettere sul tavolo un ventaglio di incentivi – ha dichiarato De Luca, presidente della Regione – per rendere conveniente la presenza a Napoli”. Ecco un altro soggetto politico- la Regione – che non fa che prolungare l’agonia, se è vero che nella trattativa che va avanti da mesi e che ha visto in prima linea il Governo – non vi è mai stato un intervento della Regione che oggi sembra voler rimescolare le carte, in competizione aperta con gli organi del governo centrale. Un’altra comparsata per De Luca che sembra voglia gestire i panni del salvatore per coprire una sua eventuale responsabilità politica. Più critico nei confronti di Roma è stato il sindaco di Napoli che stamani doveva incontrarsi a Roma con il premier Giuseppe Conte a Palazzo Chigi: vedremo quale esito avrà questo ennesimo incontro. Sullo sfondo, resta l’immagine di un Sud che mostra tutti i limiti di una politica nazionale – quella degli ultimi anni – incapace di portare avanti progetti di riconversione capaci di coinvolgere le regioni del Sud in una prospettiva di rinnovamento. Oggi le regioni del Nord chiedono una maggiore autonomia, che se realizzata, aumenterà il gap tra Nord e Sud, laddove il Sud è essenziale e complementare all’economica del Nord. Non so se i lavoratori del Sud abbiano compreso questo progetto politico che li condanna ad essere, malgrado le loro competenze, a rimorchio di una politica miope e incapace di rispondere ai bisogni e alle attese di milioni di cittadini. Se questa è la conclusione, penso che sia arrivato il momento di cedere il passo a chi politicamente sappia gestire le risorse umane ed il patrimonio culturale che possiede questo paese, nell’interesse dell’intera collettività. Se il primo governo Conte ha scoperto solo dopo un anno i suoi limiti, quello attuale (il secondo Conte) ci ha messo molto meno, annaspando difronte ai problemi del lavoro presenti in Italia. Malgrado i sorrisi che dispensa in giro il ministro Di Maio, oscurando ancora una volta la posizione politica del premier, sta venendo a galla un sempre più acuto contrasto tra i due partiti che non si mettono d’accordo sulle misure da prendere, a partire dai problemi di bilancio e per finire con quelli della manovra fiscale per cui non sappiamo che cosa si aspetta ancora a chiudere questo capitolo che offre anche all’ex socio in affari del M5S la possibilità di continuare a combattere la sua battaglia personale contro Di Maio e soprattutto contro il premier Conte. Se il PD – già in crisi al suo interno – ha commesso un incredibile errore a fidarsi del suo alleato di governo che lo ha accettato solo per scongiurare un ritorno alle urne, riteniamo che qualche responsabilità ci sia anche da parte di chi ha contribuito a varare un governo che in pochi mesi è giunto al capolinea.
Novembre 2019