TEMPO PERSO
Nel mio ultimo intervento sulla crisi di governo avevo indicato una strada percorribile dal Presidente della Repubblica nel caso in cui non si fosse arrivati ad un ragionevole accordo di governo tra M5S e PD. Non è che questa fosse la scelta migliore, anche per la diversità tra i due raggruppamenti politici che fino ad ora si erano semplicemente odiati. Non dimentichiamo che, dopo la crisi innescata da Salvini, il M5S attraversava un brutto momento perché, per continuare a governare, aveva bisogno di sostituire l’alleato Salvini senza rinunziare al suo “contratto” di governo, mentre il PD, malgrado la sua crisi interna, non sembrava disposto a legarsi con un alleato come il M5S solo per dargli la possibilità di continuare a governare. Di fatto, nel corso della crisi, il PD si era sempre pronunciato a favore di nuove elezioni politiche. Non c’è dubbio che l’ipotesi di un’alleanza tra i due gruppi sia stata caldeggiata apertamente da molti esponenti politici dell’arco costituzionale anche perché l’ipotesi di ritorno alle urne avrebbe complicato e aggravato certamente l’attuale crisi economica e politica in cui si trova oggi il paese. Dopo aver sentito i rappresentanti dei gruppi parlamentari, il Presidente concedeva un po’ di giorni al PD e al M5S per valutare sulle ipotesi di un nuovo governo che fosse anche “in grado di reggere il peso dell’intera legislatura”. Il primo a farsi sentire da Biarritz è proprio il premier Conte il quale si diceva disponibile per un nuovo governo di “riforme”. All’interno del PD i renziani, che rappresentano la maggioranza in Parlamento, si sono mostrati i più propensi al patto con il M5S anche nel caso di un Conte-bis che, secondo il M5S, è una condizione non rinunciabile. Dopo un primo incontro tra Zingaretti e Di Maio, in effetti, irrisolto restava il nodo sul nome del Presidente del Consiglio. A due giorni dalla data prevista per il secondo giro di consultazioni, la trattativa si blocca proprio sul nome dell’avv. Conte indicato dal M5S. “Senza di lui – scrive Di Maio – i nostri boccerebbero l’accordo con il PD” mentre Zingaretti continua a porre sul piano politico la necessità di un “segnale di discontinuità” e certo non si può dimenticare che Conte per tutta la durata del governo è stato un premier che non ha mai ostacolato le scelte dell’alleanza M5S e Lega per cui non può dirsi che costituisca una discontinuità rispetto al passato. In effetti, se Di Maio insiste sul nome, lo fa anche per vincere le resistenze interne e soprattutto la concorrenza che gli fanno sia Di Battista che Fico. Scelta obbligata dunque quella di Conte anche se all’interno del PD resta lo scetticismo su chi non crede sulla “discontinuità” di un governo presieduto da un premier proveniente da una esperienza di coalizione di centro-destra, fermo restando che l’obiettivo fondamentale per il PD era quello di opporsi con tutte le forze all’ipotesi di un governo sovranista per cui è davvero paradossale –e sono in molti a pensarlo – che il sovranismo possa essere combattuto con un’alleanza – sia pure di governo – con chi quelle caratteristiche continua a mantenere. L’alleanza viene caldeggiata anche dalle istituzioni europee, a partire dal nuovo capo della Commissione e dagli ambienti finanziari internazionali. Anche all’interno del PD c’è la vecchia guardia, come Prodi che si spende per questo governo. Anche il sindacato, per bocca di Landini, si dice favorevole a questa alleanza. Poche voci contrarie, come quella di Calenda, che decide di uscire dal PD se la trattativa va avanti. Pungente il comunicato di Fabrizio Barca, economista, già ministro senza portafoglio nel governo Monti, che va giù duro: “Se demonizzando Salvini si forma un governo diretto dallo stesso premier che ha abbracciato ieri le sue norme, si cade nel grottesco”. In attesa che il PD decida su questa soluzione, prossima la nuova consultazione al Colle, Di Maio se ne va in vacanza a Palinuro, ribadendo al telefono a Zingaretti che non recede dalla conferma di Giuseppe Conte. Forte è l’appoggio dato al candidato premier anche dalla sinistra: dopo Salvini e D’Alema, per il quale la figura del candidato premier “è una figura assolutamente presentabile”, sul “Manifesto” – quotidiano comunista –il giurista Luigi Ferrajoli, compagno di vecchie battaglie per la legalità, scrive “non ha senso condizionare il governo di svolta a un no a un Conte-bis”. Viene a cadere dunque ogni pregiudiziale, per cui Zingaretti si convince ad accettare un re-incarico dell’ex premier Conte per cui –poche ore prima dell’incontro con Mattarella per un secondo giro di consultazioni – Di Maio, in attesa del via libera all’accordo sulla piattaforma Rousseau, chiede anche la sua nomina a vice-premier sollevando l’irritazione del segretario del PD. Nel vertice tra i capi gruppo del 28 agosto i dem. spingono sull’agenda sociale, sulla necessità di cambiare il fisco abbandonando il progetto della Flat-Tax della Lega. Al centro della discussione c’erano i dieci punti dei 5 Stelle, quelli presentati da Di Maio dopo il colloquio avuto al Quirinale la settimana precedente, mentre il PD invece aveva un dossier focalizzato su istruzione, ricerca, ambiente, innovazione, salari ed Europa. Nasce così tra incognite ed equivoci il varo del nuovo governo. Diverso programma, diversa impostazione politica, scarsa disponibilità al dialogo: troppo poco per parlare di governo di discontinuità. La situazione si sblocca solo nel pomeriggio quando Mattarella incontra le delegazioni dei due partiti. Ha ricevuto le garanzie che chiedeva sul governo di legislatura e sul ruolo politico del premier Conte, non più notaio di un patto firmato da altri. Anche se la giornata era cominciata male con la richiesta di Di Maio di subordinare l’accordo al via libera della piattaforma grillina. Una vera e propria provocazione in quanto il Presidente aveva ribadito che l’incarico non poteva essere messo ai voti. In realtà, non era l’intesa ad essere messa ai voti ma il contenuto del programma di governo che – fino a prova contraria – era rimasto solo una bozza sulla carta anche se tutti si sono affannati a dire che l’accordo era sul programma e non sulle cariche. Affermazione davvero incredibile, dopo che decine di commentatori, anche di opposte sponde avevano stigmatizzato come nel corso della trattativa si era continuato a parlare di incarichi, lasciando nell’ombra il programma. La mattina del 29 agosto Giuseppe Conte riceve dal Quirinale l’incarico di formare il nuovo governo, richiedendo alcuni giorni di tempo per preparare una lista di ministri ed un programma. Problemi non certo risolti, malgrado l’ottimismo manifestato da tutti. Innanzitutto, c’è lo scoglio del referendum degli iscritti alla piattaforma che deve confermare l’intesa con il PD che dovrebbe avvenire prima del ritorno al Colle. Non c’è sicurezza che il referendum sia favorevole all’accordo, anche se Di Maio è convinto del sì. Troppe le resistenze interne al Movimento, senza tener conto della sconfitta elettorale riportata dal M5S nelle recenti elezioni europee che, per molti iscritti, è imputabile al leader del M5S, il quale, attraverso il voto della piattaforma ha bisogno di una riconferma della sua leadership. Lo stesso Grillo lo invitava a non tirare troppo la corda e di lasciar fare a Conte. Le parti dunque riprendono a lavorare sul programma su cui non c’è stata finora alcun approfondimento, solo una bozza scritta frettolosamente negli incontri tra le due delegazioni il 26 e il 27 agosto. “Punti comuni ce ne sono, ma anche differenze” dichiara la dem. De Micheli, ad iniziare dai decreti sicurezza: saranno modificati sulla scorta dei rilievi mossi dal Capo dello Stato o aboliti in attesa di una nuova legge che regoli tutta la materia? Di fatto, i porti italiani, grazie al decreto Salvini-bis, continuano a restare chiusi ai migranti, alle ONG accusati di favorire la immigrazione clandestina, mentre la gente continua a morire nel tentativo di raggiungere le nostre coste. C’è bisogno di un intervento urgente, mentre sembra che nessuno voglia assumersi la responsabilità di intervenire. Se c’è la legge Salvini, c’è anche la legge del mare e ci sono i Trattati internazionali che hanno una valenza superiore alle leggi interne, come ha confermato in passato la Magistratura che, oggi, stranamente resta alla finestra lasciando i migranti in balia del mare. L’accordo, in breve, è ancora lontano. Mentre il PD richiede l’apertura immediata di tutti i cantieri delle grandi opere già finanziate, il M5S prende tempo: insomma si ha l’impressione che il M5S voglia continuare a fare la stessa politica cercando solo un nuovo alleato che possa sostituire la Lega. Sarebbe opportuno che i ministri del precedente governo vengano riconfermati in questo Governo, proprio per la responsabilità che hanno avuto nel precedente governo. Senza ombra di dubbio, vanno cambiati almeno i capi dei Ministeri della Difesa, dell’Interno, della Giustizia e delle Infrastrutture che hanno collaborato attivamente con la Lega. Anche questo sarebbe un segnale di “discontinuità”. E’ disponibile il M5S su questa ipotesi? A tener conto dell’ultima uscita di Di Maio, sembra proprio di no. In effetti, ufficialmente, dopo l’incontro della delegazione con il Quirinale “O si è d’accordo a realizzare i punti del nostro programma o non si va avanti. Non guardiamo ad un governo solo per invecchiare, consideriamo alcuni dei punti del documento imprescindibili” ci tiene a ribadire Di Maio che consegna al premier incaricato un programma di governo di 20 punti. Tra questi, lo stop all’aumento dell’IVA e una legge sul conflitto di interessi, aggiungendo che “Non ha alcun senso parlare di modifiche ai decreti sicurezza. Vanno tenute in considerazione le osservazioni del Capo dello Stato ma senza modificare la ratio della legge”. Dopo le parole di Di Maio in conferenza stampa, vi sono state le reazioni di un bel gruppo di parlamentari M5S molto critici nei confronti del leader. Una lettera di sconfessione del leader già era pronta a partire ma c’è stata una telefonata del Presidente della Camera Fico al premier designato Conte che ha confermato che le trattative proseguivano anche se vi è stata una dura reazione anche del PD che ha parlato di dichiarazioni “fuori controllo che servono sono a far alzare la tensione”. Ora desta preoccupazione anche l’esito del voto sulla piattaforma Rousseau perché Di Maio ha richiesto agli iscritti di avere una conferma del loro appoggio. Il premier designato ha rassicurato ancora una volta il PD affermando che “il modello del contratto di governo è superato”, confermando che i 20 punti esposti dall’ex ministro dello Sviluppo Economico erano semplici desideri. Ma si è ancora lontani dalla formazione della squadra di governo. “Il punto ormai – scrive La Repubblica del 31.8 – non è se nasce o meno il governo ma come nasce. Anitra pazza fin dall’inizio o capace di durare?”. A nostro avviso, non basta solo cambiare i titolari di 5 o 6 ministeri ma è necessario che ci sia una condivisione di un programma di cambiamento rispetto al passato. Sarà capace il popolo del M5S e soprattutto lo saranno i suoi rappresentanti politici di accettare di cambiare schema? Poco o per niente probabile. “Io non mi farò mortificare, non succederà”. Come si vede, infine, Di Maio rivela quelli che sono i suoi limiti personali e politici, facendone un fatto personale, anche se Conte dice di non preoccuparsi perché è affidabile, anzi, che sta lavorando con passione alla stesura del programma di governo. Parole al vento, ci scusi l’avvocato Conte, che non offrono alcuna rassicurazione sulla disponibilità del M5S a cambiare registro perché Di Maio continua a dire di avere bisogno della vice-presidenza del Consiglio per tenere in mano il Movimento. Con un video sul suo blog anche il fondatore del Movimento Grillo appoggia il Conte-bis, sconfessando il leader politico del Movimento. Su Di Maio dunque il confronto resta ancora aperto. Conte ha promesso un vice premier al PD ma non è detto che non stia giocando anche su un altro tavolo, promettendo a tutti, fino all’ultimo minuto. In un incontro informale al Quirinale il premier designato ha confermato di poter chiudere tutto mercoledì, dopo l’esito del voto sulla piattaforma Rousseau. E’ incredibile che una decisione di portata istituzionale, che attende il responso della piattaforma che potrebbe far precipitare la crisi rimettendo in discussione l’intesa con il PD. Si tratterebbe, è vero, di un vero e proprio suicidio politico del Movimento ma, come in tutti i momenti critici della nostra storia, non è detto che alla fine a prevalere sia sempre la ragionevolezza e l’interesse superiore del paese. In effetti, da quando il Parlamento è stato svuotato della sua funzione, a favore dell’esecutivo, è possibile che le decisioni siano prese fuori dalle aule parlamentari, facendo riaffiorare il fantasma della democrazia diretta su cui spesso si sono spesso costruite le dittature del secolo scorso.
Settembre 2019