La Nuova Via della Seta e l’Italia
La Nuova Via della Seta è il grande progetto della Cina in questi primi anni del secolo che richiama l’antica via commerciale del secondo secolo d.C.. “La Belt and Road Initiative” (BRI) – così si chiama il progetto – è un piano per la costruzione di infrastrutture di trasporto e logistiche che coinvolge decine di paesi di tutto il mondo per un valore di più di mille miliardi di dollari. Il progetto ha un carattere apparentemente commerciale ma non solo, come vedremo. Sotto il profilo commerciale, costituisce un sistema di infrastrutture logistiche che possono avvicinare il mercato cinese a quello europeo, un progetto che sicuramente potrà favorire l’interscambio commerciale tra diversi continenti. Ma c’è dell’altro. La Cina – una delle prime potenze mondiali – se non la prima – non nasconde che dietro questo progetto si cela la volontà di affermarsi a livello planetario come uno dei paesi protagonisti di questo secolo e di quelli che verranno. Di fatto, questo progetto non è piaciuto e non piace certamente all’amministrazione Trump che non accetta sia messa in discussione la supremazia economica e militare che gli USA rivendicano. Non è un caso che l’amministrazione americana stia adottando una politica di alti dazi doganali nei confronti della Cina cercando di bloccare l’entrata delle merci cinesi negli USA. Una politica questa che non è vincente in quanto produce sistematicamente la reazione cinese. Ancora, finanziariamente, rispetto agli USA, la Cina è un gigante che potrebbe porre in serie difficoltà la posizione del dollaro negli scambi internazionali. Di fatto, le transazioni commerciali con l’Europa vengono fatte in euro e così anche la Russia si sta adeguando a questa nuova politica. Tra l’altro, la Cina nelle proprie banche conserva buoni del tesoro emessi dagli USA per miliardi di dollari. Un volume impressionante che potrebbe creare seri problemi agli USA se la Cina decidesse di vendere sul mercato finanziario questi buoni o addirittura richiedere alla Banca Centrale USA di trasformare i buoni in moneta contante. Di qui una tensione sotterranea tra Cina ed USA che fino ad oggi si è espressa sul terreno della diplomazia perché nessuno dei due rivali è interessato per il momento, ad andare oltre le minacce verbali. Ma cosa c’entra l’Italia con questo progetto? E’ presto detto. La Cina a livello mondiale è uno dei primi paesi al mondo, insieme anche agli USA, all’India colpevoli perché non ha ridotto le emissioni serra, così come prevedeva il Trattato di Parigi. Trump ha fatto ancora peggio in quanto ha deciso di uscire dal Trattato. Nel frattempo l’UE non nasconde i propri timori sulla politica commerciale che sta portando avanti la Cina con la sua poderosa macchina industriale e con l’innovazione tecnologica di cui si sta dotando che aspira ad entrare nel mercato europeo, che è il mercato più ricco a livello planetario, mentre l’UE pur avendo recentemente sottoscritto un accordo commerciale prima con il Canada e poi con il Giappone, che si stanno rivelando un vero affare per le merci europee, ha frenato fino ad ora la sottoscrizione di un analogo trattato con la Cina fino a quando essa non avrà abbassato il livello delle emissioni di CO2, migliorato i salari degli operai e dato maggior sviluppo alla democrazia. L’UE sostiene che sottoscrivere un accordo oggi con la Cina porterebbe ad un’invasione di merci cinesi sul mercato UE che porterebbe al crollo dei prezzi delle merci europee. Quindi non solo gli Usa ma anche l’UE non vedono di buon grado un accordo bilaterale tra la Cina e l’Italia che potrebbe diventare la testa di ponte per l’entrata delle merci cinesi sul mercato UE. Per quanto riguarda l’UE, recentemente un portavoce della Commissione europea ha commentato che “nessuno può raggiungere obiettivi con Pechino senza l’unità dei 28”. Ma non la pensano così i nostri industriali i quali in un recente congresso che si è tenuto a Milano hanno ribadito che il progetto è un’opportunità da cogliere per le imprese italiane mentre il governo italiano starebbe per chiudere una trattativa e siglare un memorandum di intesa a sostegno del progetto in occasione della visita del Presidente cinese in Italia prevista per la fine del mese. Anche la Casa Bianca fa sentire la sua voce: “Siamo scettici – dice un suo portavoce – che l’accordo possa portare benefici economici durevoli per l’Italia: potrebbe danneggiare la reputazione del paese” mentre da Bruxelles ancora una volta interviene la Commissione Europea che invita l’Italia “a rispettare l’unità dell’Unione Europea” aggiungendo che la collaborazione sarà possibile “solo se la Cina creerà una piattaforma aperta che aderisca alle regole di mercato e agli standard europei e internazionali”. Tra le obiezioni della Commissione infatti c’è la mancanza di trasparenza: finanziaria, ambientale, sui diritti umani. Firmando il memorandum il nostro sarebbe il primo paese membro fondatore dell’UE ad aderire alla rete di infrastrutture disegnata dal progetto. Un governo assetato di investimenti, come il nostro, potrebbe aver trovato i finanziamenti per rispondere alle necessità del nostro paese. Ma a quale prezzo è facile indovinarlo. L’isolamento dall’Europa e la dipendenza da Pechino per quelle che siano le scelte future di questo governo. Una prima manovra lo conferma ed è l’accordo che il governo ha sottoscritto con la Cina per cooperare in Africa dove Pechino ha investito miliardi e sta acquistando i territori di interi paesi. Resta, più che un’impressione “che per Pechino conta più la politica che la logistica”. E con questa politica dovrà fare i conti anche questo governo. Qualche giorno fa l’UE ha approvato un nuovo meccanismo per monitorare gli investimenti stranieri. L’Italia che col precedente governo era stata tra i promotori, si è astenuta. E questo è un altro segnale che allontana sempre di più l’Italia dall’UE. Il Governo si difende ricordando che Pechino ha ottenuto già l’adesione di altri paesi europei come la Grecia, l’Ungheria ed il Portogallo ma si tratta pur sempre di paesi con un peso minore rispetto all’Italia. Se tutto lascia prevedere la firma del memorandum, e non sarebbe possibile immaginare il contrario, nel corso della visita programmata per i prossimi giorni a Roma, potrebbe essere messa in discussione ancora una volta la vocazione europea dell’Italia.