RIALZO DEI TASSI E RISCHIO DEFAULT
L’intervento della BCE in Europa, per fronteggiare la crisi, è consistito nel mettere a disposizione del mercato una massa monetaria tale da tener basso il costo del denaro ma dal prossimo anno la BCE, per bocca del presidente Draghi, ha confermato che l’acquisto dei titoli di Stato cesserà. Che cosa avverrà? Il rischio per il nostro paese, che già sconta il rialzo pur contenuto ma ormai strutturale dello spread dovuto anche all’instabilità del governo, (che ci costerà 1,4 mild. nel 2018 e 4 nel 2019) è abbastanza reale perché da una parte aumenteranno gli interessi da pagare sui prestiti già ottenuti e dall’altra frenerà il ricorso a richiedere altro credito per non veder aumentare la massa totale dell’indebitamento. E’ quanto scrive “La Repubblica” del 25.6 nel foglio Affari & Finanza. “In concidenza con la fine del Qe, il governo tedesco e francese congiuntamente stanno lavorando per la creazione di un Fondo monetario europeo al posto del vecchio Esm che, se può garantire una difesa del paese indebitato in casi estremi, presuppone controlli più forti sull’economia dei paesi indebitati in particolare l’Italia”. Ma c’è dell’altro che rende la prospettiva mondiale di estrema incertezza. Paesi emergenti come la Cina, l’India, Brasile ed altri ancora hanno spinto, in questa fase ai tassi bassi, sulla leva dell’indebitamento per sostenere lo sviluppo, consentendo ritmi di crescita sostenuti ma ha reso le aziende e i paesi stessi doppiamente esposti al rischio del rialzo dei tassi e dei rialzi valutari. “Non a caso– scrive il quotidiano – il debito degli emergenti è salito dal 147 al 211% del PIL in dieci anni. Ora anche se questa montagna di debiti non collasserà dall’oggi al domani, il cammino dell’aumento dei tassi è avviato”. “Il pericolo, dunque, è che questi rialzi – scrive ancora il giornale – colgano impreparati i debitori e si traducano per loro in condizioni intollerabili”. Per quanto concerne l’area OCSE si prevede che i governi prenderanno in prestito a fine 2018 altri 10,5 trilioni di dollari. Ulteriore fattore di rischio è costituito dal rialzo dei tassi americani che comporterà una impennata del dollaro che avrà a sua volta effetti devastanti sulle economie emergenti. Per fare solo un esempio, quello della Cina, il debito totale (pubblico e privato) è aumentato dai 6mila miliardi del 2007 ai 36mila attuali, un incremento del 500%. Ma anche nei paesi avanzati- come quelli europei –i problemi a breve non mancheranno. A parte i paesi già largamente indebitati, come l’Italia o la Grecia, che saranno costretti a ridimensionare il loro livello di spesa (reddito di cittadinanza adieu!) la GB, come risposta preventiva al rallentamento della crescita a causa della Brexit, ha varato il programma Help to buy, usato per comprare casa versando solo il 5% sul valore dell’immobile, favorendo l’indebitamento della famiglia per cui l’aumento dei tassi rischia di portare più danni che benefici. In effetti, aumenterà l’indebitamento per i mutui a tasso variabile. C’è da aggiungere ancora che la politica finora seguita dei tassi a zero ha finito per tenere sul mercato aziende di grandi dimensioni decotte o a bassa produttività che non incontrano difficoltà ad ottenere finanziamenti limitando il ricorso al prestito bancario da parte delle piccole e medie imprese. Altro fattore di instabilità è dato dalla politica dell’attuale governo USA che, secondo stime della FED, dovrà prendere in prestito oltre 800 milioni di dollari che aumenterà negli anni successivi per cui i rapporti tra debito/PIL passerà dal 76% di oggi addirittura al 96% nel 2028 ma se venissero approvati tutti gli altri progetti, dalla difesa alle infrastrutture, questo rapporto passerebbe al 150%. Si può dunque capire la preoccupazione degli economisti anche se gli USA hanno una capacità ineguagliabile di finanziarsi sul mercato mondiale ma inevitabilmente i tassi sui bond USA da collocare in giro per il mondo, già sotto pressione per i rialzi della FED, si impenneranno vistosamente, portando ad un rialzo dei tassi a livello mondiale per cui le prospettive non sono affatto confortanti perché, se è vero che aumenterà il costo del denaro, dall’altro avremo una riduzione sia dei consumi per l’aumentato costo della vita che un aumento dell’indebitamento che potrebbe far collassare tutta l’economia mondiale, se non interverranno aggiustamenti tali che possano consentire un rilancio dell’occupazione, ma soprattutto forti investimenti nel settore delle opere pubbliche che possono fare da volano ad una ripresa del ciclo economico. Ma tuttò ciò è possibile solo a condizione che venga inaugurato un nuovo ordine sociale, diverso da quello attuale, che sia in grado di utilizzare le enormi risorse oggi presenti nella prospettiva di uno sviluppo uguale per tutti, che presuppone una più articolata collaborazione a livello mondiale e soprattuto la costruzione di un modello socio-economico che sappia coniugare prosperità e sviluppo non a beneficio di una classe sociale o per aumentare le ricchezze di pochi paesi ma per soddisfare i reali bisogni e le esigenze della popolazione mondiale. Un piano economico che presuppone un accordo politico a livello mondiale che non crediamo realisticamente attuabile da parte del potere politico oggi nelle mani di una classe politica che è prigioniera degli interessi economici della classe dominante. Sono concetti che richiamano certe vecchie teorie politiche ma la realtà ci conferma ogni giorno di più che non ci può essere altra soluzione se non quella di abbandonare definitivamente un sistema di produzione che produce da una parte profitti enormi per la classe dominante e miseria in misura crescente per centinaia di individui. Non c’è dubbio che, tanto per riferirci all’Italia, in questi anni di crisi è cresciuto il numero dei cittadini a rischio povertà mentre, dall’altra parte, si parla di stipendi favolosi per schiere di amministratori – pubblici e privati – così come, difronte al fallimento delle banche e alla rovina di piccoli e medi risparmiatori, sappiamo di assegni di milioni liquidati ai vertici aziendali delle banche responsabili proprio di quei fallimenti. Sta maturando una situazione per cui siamo ancora in tempo per favorire il passaggio ad un’economia più solidale che sappia rispondere ai reali bisogni della gente, mandando in soffitta un sistema di produzione che ha fatto il suo tempo. Anche se a gestire questa fase di passaggio può essere solo una classe politica che sappia fare i conti con la storia, non certo quella che oggi governa i destini del mondo.
Luglio 2018
(Avv. E. Oropallo)