SPAGNA: NUOVA FASE DEL CONFLITTO TRA GOVERNO CENTRALE E CATALOGNA
Dopo cinque mesi dalle elezioni del 21 dicembre scorso infine la Catalogna ha un nuovo Presidente: è l’avvocato Torra, candidato scelto dalla coalizione guidato dall’ex presidente Carles Puigdemont. Subito dopo il governo centrale di Rajoy dovrà cancellare l’applicazione dell’art. 155 della Costituzione, restituendo al governo dei nazionalisti catalani il controllo degli organismi regionali. Ma non è detto che ciò avvenga né che la nomina di Torra abbia messo fine al conflitto istituzionale che si è aperto l’anno scorso tra il governo centrale e quello catalano. Tant’è vero che dopo il primo discorso del candidato eletto, Alberto Rivera leader di Ciudadanos che è stato il partito unionista che ha riportato un largo successo alle elezioni, dopo la coalizione dei separatisti che ha ottenuto la maggioranza assoluta, ha già chiesto a Rajoy di mantenere vigente l’art. 155 e il controllo istituzionale di Madrid sull’autonomia catalana. Anche perché, come primo atto ufficiale Torra ha dichiarato che andrà a Berlino, per incontrare l’ex presidente Puigdemont, come poi è avvenuto, per sottolineare la continuità del nuovo governo con quello soppresso da Rajoy sette mesi fa. C’è inoltre il rischio che questo governo abbia breve durata tenendo conto anche della profonda divisione in seno ai partiti nazionalisti che apre molte incognite sul futuro. In effetti, mentre il gruppo di Puigdemont guarda al passato e vorrebbe rimettere al loro posto gli ex ministri regionali – alcuni dei quali ancora in prigione o in esilio – l’altro partito nazionalista Esquerra repubblicana, ha già dichiarato che “non sussistono più le condizioni oggettive per una Catalogna repubblicana e indipendente” ritenendo quindi superata l’ipotesi della separazione. Anche Ada Colau – sindaco di Barcellona – che si è battuta in questi mesi alla ricerca di una soluzione diversa per aprire una nuova fase di dialogo con Madrid – ha criticato l’irrigidimento dei rapporti con il governo centrale, tanto più che lo stesso Rajoy si è dichiarato disponibile ad incontrare il nuovo presidente eletto. Un altro gesto di rottura è stato quello compiuto dal Presidente del Parlamento regionale Roger Torrent, che ha dichiarato che non chiederà, come prevede il protocollo, udienza al Re Felipe, per informarlo dell’elezione della Generalitat. Atto che il re dovrebbe firmare per renderlo valido. Ma non dimentichiamo che, ai tempi delle elezioni di Puigdemont, fu il re a non concedere l’udienza. Come si vede, malgrado la forte affermazione dei partiti nazionalisti, non si vede ancora l’uscita da questo tunnel che finisce non solo di resuscitare i fantasmi del passato ma che incide anche nei rapporti con l’UE che si è chiamato fuori da questo che è stato definito un “conflitto interno che va risolto in base al diritto costituzionale spagnolo”. In effetti, i catalani hanno trovato le porte chiuse a Bruxelles. Eppure, tanto per citare un caso, al momento dell’adesione della Gran Bretagna all’UE, fu proprio l’intervento europeo a mettere fine al conflitto irlandese che durava ormai da un secolo. Nella crisi catalana, ancora di più inaccettabile è il silenzio delle istituzioni europee, in quanto ai catalani, che sono oltre che cittadini spagnoli anche cittadini europei, è stato impedito di votare i loro rappresentanti per cui non sarebbe stato davvero impossibile da parte dell’UE di intervenire in veste di mediatore per trovare una soluzione che potesse essere accettata sia dal governo spagnolo che dai nazionalisti catalani. Vero è che oggi l’UE – nella situazione in cui si è venuta a trovare – con la vittoria di partiti anti-europeisti in diversi paesi, ultima l’Italia, cerca di tenersi lontano da queste vicende, scegliendo la prospettiva per l’Europa dello sviluppo diseguale, agganciato ai paesi forti come la Germania e la Francia. Ma questa scelta potrebbe rivelarsi pericolosa per le sorti dell’Unione che dovrebbe tendere invece ad un maggiore rafforzamento delle istituzioni, coinvolgendo tutti i paesi membri. Quello che sta accadendo nel campo economico e bancario, con una banca centrale che è intervenuta per salvare i paesi come la Grecia e l’Italia, potrebbe avvenire anche sul piano politico. Certo, c’è bisogno per questo di riforme forti anche sul piano istituzionale alla luce dei mutamenti dei rapporti internazionali che potrebbero condannare l’UE ad un lento declino, senza capacità più di incidere sul futuro del continente. Invece di continuare a discutere in termini nazionali, è tempo che la politica europea porti ad un superamento dei nazionalismi, ponendo in primo piano lo sviluppo in senso federale dell’Unione. L’anno prossimo ci saranno le elezioni per il Parlamento europeo: questo momento potrebbe coincidere con una ripresa delle trattative di tutti i paesi membri per una riforma del Trattato per trasformare il Parlamento europeo in un vero e proprio Parlamento Federale che possa decidere unitariamente per tutti i paesi membri, cui sarebbe lasciata autonomia in alcuni settori lasciando al Parlamento europeo di occuparsi di settori decisivi, per fare degli esempi, come quello della difesa comune, della sicurezza, o quello dell’immigrazione (per questo vi è già un progetto di riforma del trattato di Dublino). Si tratta di un cambiamento certo difficile da realizzare, alla luce ancora una volta dell’opposizione dei governi nazionali, ma bisogna ritornare a parlare di Costituzione europea se si vuole dare un maggiore impulso alla prospettiva della Federazione degli Stati europei. Obiettivo che aprirebbe ampie prospettive di sviluppo a tutti ai paesi europei che ne hanno fatto richiesta e servirebbe a ridare fiducia ai giovani di questo continente che ha il dovere storico di rafforzare lo sviluppo della democrazia in tutto il continente, aprendo le porte dell’adesione anche a paesi europei che ne hanno fatto richiesta. Lo scacchiere geo-politico è in continua evoluzione per cui se non si ha certezza della direzione politica, l’Europa rischia di soccombere nei confronti dei poteri più forti.
Maggio 2018
(Avv. E. Oropallo)
SPAGNA, nuova fase del conflitto tra governo centrale e catalogna