DRAMMA DELL’IMMIGRAZIONE e APPLICAZIONE EXTRATERRITORIALE del DIRITTO NAZIONALE
Dopo qualche mese di bonaccia, è ripreso il cammino della speranza che migliaia di migranti percorrono per sottrarsi alla fame, alle violenze tribali e alle torture degli aguzzini libici. Ancora una volta non è in discussione la violazione delle norme nazionali o di accordi bilaterali intervenuti tra l’Italia e la Libia. Qui è in discussione il sacrosanto diritto dei volontari di soccorrere, in acque internazionali, i migranti in pericolo di vita, raccolti tra le onde e tratti in salvo prima che anneghino. Il diritto del mare fa obbligo di soccorso in mare a chi lo chiede: anzi, il mancato soccorso costituisce un fatto penalmente rilevante. Oltre alle norme di diritto internazionale, sottoscritto dalla maggior parte dei paesi, anche in Italia l’omissione di soccorso è punita dall’art. 593 del codice penale e tra gli altri, dagli artt. 69 e 1158 del Codice della navigazione. Non sarebbe il caso di doverlo ricordare a quei rappresentanti della giustizia italiana che, come vedremo tra poco, hanno quanto meno omesso di considerare che il soccorso prestato ai migranti è un fatto del tutto normale per i naviganti, forse meno per chi amministra la giustizia a casa propria. Quanto è accaduto, al contrario, dimostra come la giustizia finisce per coprire i crimini politici di chi vorrebbe condannare ad una morte certa le centinaia di migliaia di profughi che attendono sulle coste libiche, stipati nei centri di raccolta libici, di poter affrontare il viaggio in mare, anche a costo della vita, per lasciarsi alle spalle una vita fatta di stenti, di violenza e di angherie. Ci vuole molto a capire che non esiste alcun rimedio per fermare questo massiccio esodo verso la “civile” Europa? Oggi sappiamo che gli sbarchi si ripeteranno appena ritornerà il bel tempo e non ci sarà nessun burocrate di turno che possa fermarli. Si dice, da parte della politica, che è importante aiutarli in patria ma “da una parte c’è stata la Francia che nel 2011 ha esportato la guerra in Libia, anticipando le manovre della vicina Italia e dall’altra c’è il nostro paese che per diciassette anni, da Berlusconi a Gentiloni, non è stata in grado di prevenire e gestire i fenomeni”. Così scrive Fabrizio Gatti sul quotidiano “La Repubblica” del 20 marzo che così continua “Perfino la missione italiana in Niger, contro i trafficanti che portano i migranti è fallita in partenza in quanto non vi è stata alcuna conferma da parte del governo nigeriano che, guarda caso, risponde a Parigi,” che intende mantenere intatto il suo potere nel continente africano, soprattutto oggi che bisogna bloccare l’ingresso dei capitali cinesi in questo continente. Una beffa ancora una volta per il governo italiano che si vede messo da parte dalla concorrenza. Ora si capisce perché non possa partire una politica europea comune per affrontare il problema di questi nuove migrazioni che continueranno a crescere nel prossimo decennio, grazie sia alla crescita demografica nel vicino continente africano e sia alla distruzione del vecchio modello di sviluppo che consentiva il secolo scorso agli africani di poter contare sul lavoro nei campi e sui frutti della natura perché anche le foreste sono state eliminate per far posto alla coltivazione di soia. Il 19 marzo scorso, il comandante di una nave ONG di proprietà dell’organizzazione non governativa catalana Proactive Open Arms, che aveva anche firmato il protocollo italiano per il soccorso in mare, viene attivata dalla sala operativa della Guardia Costiera di Roma, per salvare la vita di 150 migranti a bordo di un gommone a 70 miglia distanti dalle coste libiche, e quindi in acque internazionali, che rischiava di affondare col suo carico umano.Mentre erano in corso le operazioni di salvataggio, sono intervenuti i libici che, con i mitra spianati, hanno minacciato il comandante e l’equipaggio se non avessero consegnato loro i bambini e le donne già salvate. Solo dopo un lungo inseguimento, la nave è riuscita a sfuggire dirigendosi verso le coste maltesi per far sbarcare un neonato in gravissime condizioni con la madre, dirigendosi poi verso le coste italiane, una volta che era pervenuta l’autorizzazione a sbarcare i migranti nel porto di Pozzallo. Qui giunti però, il comandante e gli altri responsabili della ONG sono stati accusati dal procuratore di Catania Zuccaro del reato di “associazione a delinquere per favorire l’ingresso in Italia di migranti clandestini” mentre la nave è stata sequestrata. Pur avendo escluso il GIP intervenuto l’esistenza di un reato associativo è stato mantenuto il sequestro della nave. Il legale della ONG, polemicamente, ha parlato della creazione di un nuovo reato “quello di solidarietà”. In effetti, in base al racconto di due giornalisti che si erano imbarcati sulla nave, è stata smentita la versione fornita dalle autorità italiana in quanto, per motivi di sicurezza, è stata la Guardia Costiera ad autorizzare l’attracco nel porto italiano. Non dimentichiamo che le accuse partono dal procuratore Zuccaro, il magistrato della prima inchiesta “fantasma” sulle presunte complicità tra ONG e trafficanti libici che da più di un anno non ha portato né ad una richiesta di rinvio a giudizio né ad una di archiviazione. La Magistratura inquirente è sempre tempestiva nel prendere i suoi provvedimenti ma quella ordinaria fa fatica a farsi sentire per celebrare rapidamente dei processi che poi finiscono nell’oblio, dopo aver bloccato il soccorso in mare operato da volontari. Il direttore della ONG Proactiva, Oscar Camps, sulla Repubblica del 28.3 commenta “c’è una strategia di criminalizzazione delle ONG. Vogliono cacciare possibili testimoni su ciò che sta accadendo”. Sul piano strettamente giudiziario, c’è da aggiungere che, mentre la legge internazionale punisce l’omissione di soccorso in mare, riconosciuto anche dal codice penale italiano, va detto che “la Libia non ha invece firmato le convenzioni necessarie per essere dichiarata un porto sicuro. Il fatto che i governi di Roma e Tripoli abbiano siglato un accordo politico bilaterale, non colma le lacune in merito alle norme di valore internazionale”. Così Fabrizio Gatti scrive sulla Repubblica del 20.3. Ma c’è da aggiungere che, fuori dalle acque territoriali, non può pretendere l’Italia di applicare la legge italiana o, peggio, un protocollo di comportamento che non ha alcun valore legale fuori dal territorio italiano, non vedendo in base a quali norme possa essere perseguito un soggetto che agisca per salvare la vita di chi sta per perderla, e contro chi tenti con la violenza di sottrarla all’aiuto che viene portato dai volontari. Insomma, a voler essere chiari, chi commette un reato non è chi in acque internazionali soccorre un profugo che sta per annegare ma chi vuole punire questo in base ad una legge inapplicabile. Certo, chi li ha fatti sbarcare in italia in base ad una autorizzazione fornita dalla guardia costiera, non ha fatto che portare fino in fondo il suo atto di solidarietà. Non si può utilizzare l’intimidazione giudiziaria nei confronti di chi vada in soccorso dei migranti: si tratta di un atto di solidarietà umana che dovrebbe essere rispettata da chi amministra la legge dietro la cortina del potere sovrano. La sovranità, come ci insegna la Catalogna, non può essere lo spauracchio per colpire il diritto delle genti: lo jus gentium, come ci è stato insegnato nelle università europee, è la base fondamentale per la costruzione di un diritto umanitario che detta legge anche in quei paesi in cui non c’è modo di applicare i principi di solidarietà e di legalità. Non si può fare della legalità un mito o utilizzare la legge per reprimere le istanze sociali e criminalizzare i volontari che si occupano di portare aiuto ai migranti. Ada Colau, sindaco di Barcellona, che è venuta in Italia per difendere la ONG accusata dalla procura di Catania per associazione a delinquere, intervistata dal quotidiano “La Repubblica” del 25.3, dichiara “L’accusa mi sembra davvero assurda. Sono volontari che rischiano la vita per fare quello che dovrebbero fare gli Stati europei…Invece l’Europa in modo vergognoso non solo non sostiene le navi di soccorso delle ONG ma ha iniziato una campagna di criminalizzazione”. In effetti, sempre a proposito di migranti, c’è un altro episodio verificatosi sulle Alpi dove nei giorni scorsi uno dei volontari dell’associazione “Tous migrants”, Benoit Ducos, ha soccorso una donna sorpresa dalle doglie nella notte e nel freddo. La carica in macchina per portarla all’ospedale di Briancon insieme al marito e agli altri due figli che piangono spaventati. All’ingresso in paese sono fermati da una dozzina di doganieri, indifferenti alle condizioni della donna. Solo dopo le 23 e dopo l’intervento dei medici la donna è stata condotta in ospedale dove ha partorito col parto cesareo. Benoit, a sua volta, è stato convocato dalla gendarmeria con l’accusa di aver favorito l’immigrazione clandestina. Come si vede lo stesso reato contestato ai volontari della ONG spagnola. A completare il quadro, purtroppo, anche l’UE non ha mosso un dito difronte a queste palesi violazioni del diritto del mare e delle leggi europee che vietano espressamente di collaborare con quei paesi, come la Libia, che sono colpevoli di abusi e di violenze nei confronti dei migranti. Chi collabora, conoscendo la situazione, finisce per essere colpevole come chi esercita materialmente la violenza. D’altra parte, con il governo di Erdogan l’UE ha sottoscritto un patto con il quale la Turchia si è impegnata a trattenere i migranti che dalle coste turche hanno cercato di sbarcare in Grecia e di lì, dopo un lungo viaggio a piedi, tentare di entrare in Europa. Un tributo che l’UE sta pagando in termini materiali, consegnando fino ad oggi ad Erdogan sei miliardi di euro, ma anche in termini morali, rinunziando sempre più ai principi che ne hanno ispirato la crescita. La Colau, alla fine della sua intervista, con amarezza afferma che “l’Europa è nata per dire mai più alla guerra, mai più alle violazioni dei diritti umani. Ma se l’Europa fallisce nelle idee che l’hanno fondata, fallisce anche come progetto”.
Aprile 2018
(Avv.E. Oropallo)
DRAMMA DELL’IMMIGRAZIONE E APPLICAZIONE EXTRATERRITORIALE del DIRITTO NAZIONALE