Tremate, le frontiere son tornate!
Erano anni che ci eravamo abituati a passare da un paese all’altro dell’UE senza subire la burocratica formalità di esibire il documento di riconoscimento. La qualità di cittadino “europeo” veniva riconosciuta, di buon o malgrado, dagli Stati membri che avevano abolito ogni controllo alle frontiere. Prima dello scoppio dell’attuale crisi economica, ma ancora per diversi anni dopo, potevamo restare tranquilli di non essere sottoposti più, né all’est né all’ovest, a quell’operazione di stampo medioevale che costringeva spesso i turisti a lunghe ed estenuanti code. Le vicende di questi ultimi anni ci hanno riportato ad una epoca in cui ancora esistevano i blocchi. L’avevamo dimenticato ma la realtà ci ha mostrato come l’orologio della storia voglia riportarci al passato. Alla fine del mese di luglio siamo in partenza per un viaggio in Serbia, programmato da tempo, per conoscere un po’ da vicino questo paese balcanico che da anni chiede di entrare nell’UE, fiducioso, come non lo sono molti di noi europeisti, che l’UE possa sopravvivere alla crisi che sta attraversando. Eravamo pronti ad esibire il nostro documento di riconoscimento alla frontiera esterna dell’UE, nel passaggio dalla Croazia alla Serbia. Purtroppo siamo rimasti, più che sorpresi, scandalizzati che già andando dalla Slovenia alla Croazia siamo stati sottoposti ad esibire la nostra carta d’identità; anzi, all’entrata in Croazia ci hanno con fastidio fatto osservare che sarebbe stato meglio avere anche un passaporto per viaggiare in Serbia, senza però spiegarcene la ragione visto che la Serbia dà ai cittadini europei la facoltà di entrare nel paese anche con la carta d’identità. Guardie di frontiera arcigne e infastidite che lanciavano lo sguardo sospettoso all’interno anche dell’autovettura. Atteggiamento neppure spiegabile con il problema dei migranti perché lasciavamo il territorio dell’UE anche se poi al ritorno, sia alla frontiera serba-croata che alla frontiera croata-slovena, ci è stato richiesto di nuovo di esibire nuovamente il documento di identità. Ovviamente, ci siamo guardati bene dal protestare per l’illegalità di questa richiesta anche perché, con l’esperienza degli anni precedenti, certamente ci avrebbero fermato per ore per contestarci inesistenti violazioni doganali. Polizia occhiuta dunque e sospettosa che ripete un rito ormai in disuso: d’altra parte, anche questo è un chiaro segnale di come si intende riaffermare il principio della piena sovranità nazionale, senza tener conto delle regole comunitarie. Sono questi precisi segnali che fanno riflettere sulla crisi che sta investendo l’UE. Segnali di questo ritorno al nazionalismo vanno colti anche nel contrasto manifestatosi tra governo francese e italiano a proposito dei cantieri navali di St. Nazaire per i quali la Francia ha richiesto alla Fincantieri, che ha la maggioranza delle azioni, di fare un passo indietro per consentire al governo francese di mantenere la metà delle azioni, trattandosi, a suo dire, di un settore strategico. Quel Macron, già additato dalla stampa internazionale, come l’uomo nuovo di cui si sentiva l’esigenza per mantenere alta la bandiera dell’europeismo. Ben presto si è scoperto che l’unico interesse che aveva il nuovo Presidente era quello di rafforzare la posizione del capitalismo francese a livello internazionale. E così, facendo lo sgambetto all’alleato italiano, non solo ha posto in discussione un accordo già sottoscritto dal precedente governo francese ma è intervenuto pesantemente, prendendo a pretesto il problema dei migranti, nell’affare Libia ponendo una pesante ipoteca sul futuro di quel paese e ricordando all’Italia che anche la Francia è interessata al destino (si fa per dire) della Libia, tenuto conto dei forti interessi economici della Francia in Libia. Il buon Gentiloni, in compagnia del meno noto Ministro degli Interni, pensava già di aver chiuso la vicenda promuovendo un accordo con il presidente libico Serraj per poter liberamente entrare nelle acque libiche e controllare così i flussi migratori, condannando centinaia di migliaia di migranti a ritornare nei centri di accoglienza libici, per favorire il loro rientro nei paesi di origine. Centri di accoglienza riconosciuti come veri e propri lazzaretti dove le condizioni igienico-sanitarie e i diritti umani non sono mai entrati. E così il buon Gentiloni ha fatto buon viso a cattivo gioco ringraziandosi il presidente francese del suo prezioso appoggio ma lanciandosi in una nuova impresa che possa, con la scusa di bloccare i migranti sulle coste libiche, mantenere di fatto una flotta militare difronte alla Libia. Una specie di governatorato benedetto questa volta anche dall’ONU e dall’alleato americano, senza fare i conti con il generale Heftar, che controlla una parte del territorio libico, anche se non è riconosciuto dalla diplomazia internazionale, che ha fatto chiaramente intendere di non gradire la presenza della flotta italiana nelle acque libiche. Ormai gli interessi nazionali stanno prevalendo sempre di più su quelle che sono le regole comunitarie. Ne è conferma la decisione di quattro paesi dell’UE di non essere disponibili ad accettare la redistribuzione dei migranti nei loro territori sempre per difendere la specificità nazionale. “La soluzione adottata – scrive Tito su La Repubblica del 28 luglio scorso – è stata sostanzialmente di sigillare i confini a nord dell’Italia e della Grecia, rifiutando ogni effettiva collaborazione”. Sono scelte queste, che fanno segnare il passo alla prospettiva europea anche di costruire una politica di difesa comune per cui queste spinte nazionaliste non solo finiscono per rafforzare il populismo dilagante ma possono assestare un colpo definitivo al progetto unitario, considerando che un’Europa solo monetaria non è più sufficiente per un progetto federalista, come era nelle prospettive dell’Europa Unita. A rendere ancora più difficile la situazione, è il silenzio delle istituzioni europee, a partire dal Commissario Mogherini, come della Germania, il paese che si è sempre battuto per la costruzione europea, che sta mantenendo in questo ultimo periodo un silenzio assordante, dopo aver attaccato a Taormina le posizioni espresse da Trump e confermato a Varsavia – nell’incontro dei Paesi Nato – di essere disponibile a costruire un sistema di difesa europea anche senza l’alleato tradizionale, gli USA, che hanno invece richiesto un maggior rafforzamento delle strutture militari della NATO. Ormai va chiarendosi il quadro economico e politico dei prossimi anni. Gli USA con la decisione di uscire dal Trattato di Parigi sul clima, han fatto chiaramente capire che il loro interesse è soprattutto quello di difendere le proprie industrie e quello di usare il combustibile a basso prezzo di cui dispongono in gran quantità, ossia il carbone. Sicuramente, si tratta di un alleato non più affidabile per gli europei in quanto anche la difesa viene vista sempre dagli USA nell’ottica dei propri interessi commerciali che contrastano con quelli europei. Non a caso diversi paesi europei, tra i quali anche il nostro, sono stati costretti ad acquistare dall’industria americana un nuovo velivolo militare che è molto costoso e ha già dimostrato di avere diversi difetti, laddove l’industria franco-tedesca ha già pronto il velivolo tecnologicamente più valido di quello americano. Anche la tensione che alimenta Trump con la Corea del Nord può rappresentare un ulteriore motivo di disaggregazione della comunità internazionale. Segnali di guerra? Certamente non si tratta di ipotesi astratta ma bisogna tener conto che le alleanze si fanno e si disfanno in base agli interessi nazionali che sono quelli economici, innanzitutto, ma anche militari e qui si va a porre il problema della sicurezza nazionale. Più si rafforzano questi interessi, più si perderanno di vista gli obiettivi che gli europei si sono dati. Sarà un ritorno al passato, il risveglio della violenza, l’incubo che in qualche modo diventa realtà. Non si tratta di una visione pessimistica ma realistica che può cambiare solo a condizione che cambi la politica dell’UE e degli Stati che ne fanno parte. Un’Europa forte, coesa, con obiettivi di crescita diffusi, che guardi al benessere dei popoli europei è l’unica strada per vincere la paura. La deriva di questi ultimi mesi può essere fermata solo a patto che si risvegli, come dopo una lunga malattia, lo spirito di vivere e lottare per una società giusta e solidale.
Agosto 2017
(Avv. E. Oropallo)